Roma, 2 set – Lo avevo ribattezzato Peter Pan quando, cinque anni fa, in un concerto a Roma in cui, forse per l’ultima volta, si era esibito anche Junio Guariento, scoprii che quel folletto eternamente giovane aveva già compiuto i settant’anni. Gradì. Jack Marchal è stato immortalato come il disegnatore del Rat Noir, il “topo di fogna” che prendeva le sue rivincite allegre e beffarde e che poi trovò asilo in Italia ne La voce della fogna.
Jack Marchal, uno straordinario Peter Pan
È stato anche se non soprattutto un musicista di talento per un buon mezzo secolo, sempre pronto a rinnovarsi e attentissimo alle novità generazionali, con cui dialogava e interagiva. È stato un militante deciso fin dal 1967, quando la marea montante del trozkismo e del maoismo stava per inondare le scuole e le università. Allora Jack era orientato a sinistra, mal sopportando il conformismo e anche certi temi patriottardi.
L’ultima volta che l’ho incontrato, ovvero la scorsa estate, ha ricordato di essere stato ostile alla Algérie Française in nome dell’autodeterminazione dei popoli. Non è così assurdo perché all’epoca il sentimento era condiviso anche in ambienti sorprendenti. La pensava in tal senso Jean Mabire che però fece la sua guerra di Algeria perché – sosteneva – les copains d’abord.
Jack era innanzitutto un libertario e fu per quello che si oppose strenuamente al nuovo conformismo opprimente della sinistra. E si ritrovò – da anarchico – all’estrema destra: Occident, Gud e Parti des Forces Nouvelles.
Chi non ha vissuto quegli anni non è probabilmente in grado di capire, anche perché si orienta per schemi e per partiti presi. Fatto sta che allora i libertari, gli autonomi, gli indipendenti eravamo noi. Nessuno forse ha mai respirato la libertà in tutto il suo significato e in tutte le sue sfumature, quanto quelli che allora si schierarono con l’Altro ’68. Io avevo 14 anni, egli ne aveva 20.
L’alba del nostro On the Road
Il mio anarchismo è stato probabilmente più soggetto a gerarchia di quanto lo fu il suo, ma si tratta di sfumature perché non ricordo mai una scelta sbagliata da parte di Jack. Né all’epoca della folle scissione megretista nei confronti di Jean-Marie Le Pen, né ultimamente. Egli viveva nel nord della Francia e non veniva sovente a Parigi. L’ultima volta che lo vidi si presentò a sorpresa ad una cena che avevo organizzato in un ristorante della capitale alla fine di luglio 2021. Poiché era il tema del momento, si presentò dichiarando a tutti: “Io non voterò per Zemmour”. Lo avrei abbracciato, ma non fu di certo la prima volta che ebbi quella tentazione.
Non voglio tediare nessuno con i particolari ma, che si parlasse di Front National, di Campi Hobbit o di scelte politiche di movimenti della destra radicale, senza esserci consultati prima, la pensavamo nello stesso identico modo. Impressionante! Come ho già detto, con un approccio un po’ diverso, molto più individuale e sbarazzino del mio quello di Peter Pan che, forse più di chiunque altro, ha rappresentato lo Zeitgeist della più bell’alba del nostro On the Road. Chi non l’ha vissuto non saprà mai cosa si è perso!
Dico sul serio.
Merci Jack, chante encore avec nous! Ce fut un privilège de t’avoir connu et d’avoir été si bien en syntonie tous les deux.
Gabriele Adinolfi
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