«Io sono un archeologo, cioè uno storico che si avvale prima di tutto delle cose fatte dall’uomo e di ciò che di esse è rimasto nel terreno. Ho avuto la fortuna di scavare per tanti anni nei luoghi citati dalla leggenda, dove Roma sarebbe stata fondata e dove avrebbero vissuto i primi re. Ho raccolto in questi scavi tante testimonianze materiali, esterne alla tradizione letteraria, eppure risalenti a quei tempi lontani e che richiamano quegli eventi e le azioni di quei leggendari personaggi. Ecco perché non credo che la leggenda sulle origini di Roma sia una favola ma piuttosto una tradizione in cui verità e finzione sono entrambe presenti e intimamente mescolate.» Con queste parole Andrea Carandini, professore emerito di Archeologia e Storia dell’arte greca e romana alla Facoltà di Scienze umanistiche dell’Università di Roma, introduce il suo breve saggio “La fondazione di Roma”.
Sulla fondazione di Roma si è detto e scritto molto, ma la particolarità di questo studio è l’angolo di visuale, la lente, che Carandini sceglie per osservare il fatto storico. Osserva si con l’occhio clinico e scientifico dell’archeologo ma non bolla come “favoletta” tutto ciò che non è racchiudibile entro gli schemi della razionalità, al contrario capisce che è proprio tramite la fusione dei due elementi, dello scientifico e dell’irrazionale, che si riesce a ripercorrere in modo verosimile l’accaduto storico. Si usa il Mito per percorrere la storia e così, seguendo quanto riportato dalle narrazioni sulla nascita di Roma, si può scoprire che il tugurium Faustoli, la casa di Faustolo dove sono cresciuti Romolo e Remo, faceva parte di una serie di capanne che gli archeologi hanno rinvenuto sul Palatino e datato al IX secolo a.C, per essere poi soppianto, il tugurium, da due abitazioni più piccole, tangenti, costruite esattamente nel perimetro della prima. Probabilmente, dice Carandini, la divisione della casa fu opera di Romolo: si narra infatti che, dopo la fondazione di Roma, egli divise in due la sua abitazione, in una parte, la casa Romuli, era stabilito lui mentre l’altra parte dell’edificio era dedicata al culto di Marte e Ops, la dea dell’opulenza.
Ma le scoperte più straordinarie che l’archeologia ha portato alla luce sono quelle che riguardano l’atto di fondazione in sé, ovvero il solco tracciato con un aratro tirato da un bue e una vacca, l’apposizione delle pietre terminali, il sacrificio di una bambina con il suo corredo. Proprio nei pressi del Palatino è stato infatti trovato il corredo della bambina uccisa e sepolta, e in particolare la tazza parte del corredo ha aiutato gli studiosi a datare questa deposizione: tra il 775 e il 750 a.C, “una data incredibilmente simile a quella che la tradizione attribuisce alla fondazione di Romolo, il 753 a.C. Ecco perché – dice l’autore – la leggenda sulla prima impresa del fondatore non mi sembra affatto una favola”. Sempre i dati archeologici confermano che in quel periodo era presente una cinta muraria intorno al Palatino.
Altro dato mitologico confermato dall’archeologia è l’esistenza del Tempio di Vesta alle pendici settentrionali del Palatino nonché, nelle profondità dello stesso Palatino, del Lupercale, la grotta dove la Lupa offrì le sue mammelle a Romolo e Remo.
Alla luce di tutto questo il celebre aforisma di Plutarco pare confermato: “Roma non avrebbe potuto assurgere a tanta potenza se non avesse avuto, in qualche modo, origine divina, tale da offrire, agli occhi degli uomini, qualcosa di grande ed inesplicabile.”
Rolando Mancini
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