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Monumenti ai caduti: quel «luogo della memoria» chiamato Italia

by Simone Pellico
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monumenti ai caduti

Una costellazione a forma di stivale, una geografia del ricordo fitta e diffusa nel perimetro nazionale, e oltre. Così si presenterebbe la mappa dei monumenti ai caduti in Italia, unendo i punti delle decine di migliaia di presìdi a ricordo della Prima guerra mondiale. La più grande galleria d’arte del Belpaese, dal Friuli alla Sicilia, dalla Sardegna alle terre perdute: Istria, Fiume, Dalmazia. Nelle città come nelle frazioni, nei paesi o sui luoghi del conflitto, nelle piazze, nelle strade, negli edifici pubblici, nei luoghi di lavoro, nei cimiteri. A testimoniare come lo sforzo bellico sia stato sforzo unitario e nazionale. Ogni regione aveva i suoi caduti da piangere, da ricordare e da rispettare.

Questo articolo è stato pubblicato sul Primato Nazionale di novembre 2021

I soldati caduti si situano fra la terra e il cielo: anzi, si sdoppiano fra i due reami. Dopo la fine della guerra, da un lato inizia l’opera di raccolta e sepoltura dei corpi dei morti, dall’altro si costruiscono i monumenti che ne custodiscono l’anima e l’esempio. Se con la guerra l’Itala si trasfigura definitivamente in nazione, il soldato – e il fante in particolare – si trasfigura in caduto, in figlio della patria e poi in eroe. Ogni morto in battaglia viene equiparato, a prescindere dal grado.

Emblema e sintesi di questo processo è il Milite Ignoto, soldato anonimo che viene seppellito all’interno del monumento ai caduti per eccellenza: l’Altare della Patria. Viene dato così un nome collettivo a chi nome non lo ha. Sugli altri monumenti, invece, compariranno i nomi dei singoli soldati, diventando il centro focale del culto ai caduti. Un luogo reso vivo dal ricordo.

Le origini del ricordo

I primi monumenti ai caduti vengono costruiti a guerra ancora in corso. Sono i ricordi improvvisati dai commilitoni per i commilitoni, fatti con materiali di fortuna, con reliquie ancora roventi del conflitto. In casi sporadici sorgono anche opere più definite, singoli fuochi che dopo l’armistizio diventeranno un incendio. Si avvierà, infatti, un processo di istituzionalizzazione della tutela della memoria storica, per offrire un apporto deciso e strutturato al tema delle onoranze, delle sepolture e della sistemazione delle salme.

I primi riferimenti normativi sono del 1919. Con i regi decreti del 3 aprile e del 9 maggio viene istituita una «Commissione per onorare la memoria dei soldati d’Italia e dei paesi alleati morti in guerra» presso il ministero dell’Interno. Successivamente vengono stabilite composizione e strutturazione della commissione e ne viene nominato presidente il generale Armando Diaz.

A livello locale gli Enti, recepita questa disposizione generale e facendola propria, avrebbero attuato le stesse dinamiche a livello territoriale, agevolando e sostenendo la nascita di altrettanti comitati e commissioni, con gli stessi scopi e gli stessi valori ispiratori. Nel 1930, poi, Mussolini approva il piano Faracovi per la sistemazione definitiva delle salme dei caduti, dove si avanza la soluzione del «grande concentramento di salme», che trasformerà gli ossari nelle zone di guerra in sacrari.

Monumenti ai caduti: una polifonia di marmo

Sacrari, statue, lapidi, targhe, croci stazionali, pietre, dipinti murali, fontane, fari monumentali, colonne, cippi, are, lapidi, tempietti votivi, torri, campanili, campane, chiese, parchi e viali. La tipologia delle opere destinate alla memoria dei caduti della Prima guerra mondiale assume le forme più disparate, a seconda del contesto, del luogo, del costo.

Fra i tipi di monumento, particolare normazione trovarono i Parchi della rimembranza, istituiti nel 1922. Il testimone viene passato alle scolaresche, come anelli della catena del ricordo fra le generazioni: in ogni città, in ogni paese, in ogni borgata, dovevano creare i viali o i parchi. Per ogni caduto nella grande guerra, doveva essere piantato un albero; gli alberi potevano variare a seconda della regione, del clima, dell’altitudine. La pianta, simbolo per eccellenza della vita, rappresenta il soldato morto, che rinasce nell’albero.

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Nel 1924 saranno già allestiti oltre 2.200 parchi o viali. Fino ad allora i monumenti celebrativi erano dedicati a un personaggio, a un eroe in particolare. Con la realizzazione dei parchi e dei viali si assiste a una rivoluzione: ad essere celebrati sono tutti i soldati. La novità stava anche nel rapporto con il monumento: non solo da guardare, ma luoghi da percorrere e con cui interagire attraverso tutti i sensi. L’uso degli alberi – pensato dal sottosegretario alla Pubblica istruzione Dario Lupi dopo un viaggio in Canada, ma l’usanza era già praticata nell’antica Persia – riprende lo stilema del «bosco sacro».

Oltre alla rilevanza simbolica, i viali e i parchi hanno avuto anche un grande impatto sul piano urbanistico e architettonico. Una sistemazione a verde monumentale che ha riguardato ogni comune d’Italia, modificandone l’assetto, andando a risolvere anche l’annoso equilibrio fra evoluzione urbanistica e consumo del suolo. Un equilibrio purtroppo perso progressivamente – già nel 1935 Berto Ricci ne denunciava l’abbandono, causato dall’essere un’idea per lui poco assimilabile dallo spirito italiano ma che oggi, dove sono stati effettuati interventi di recupero, è rinato insieme al senso del ricordo e di comunità.

Un nuovo Rinascimento

Quella dei monumenti ai caduti è stata una campagna creativa che ricorda le tradizioni rinascimentali. Accanto ad autori minori, si sono confrontati con il tema del ricordo firme di primo piano del panorama artistico italiano: Duilio Cambellotti, Mario Sironi, Publio Morbiducci, Lorenzo Viani, Arturo Martini, Giacomo Manzù, Libero Andreotti, Anselmo Bucci, Giannino Castiglioni, Romano Romanelli, Ubaldo Badas per citarne alcuni.

L’immaginario trasposto nella pietra o nel bronzo si snoda principalmente fra due filoni: quello «proletario» di De Amicis, Pascoli e Ada Negri e quello aulico di Gabriele d’Annunzio. In un connubio fra parola e materia, dalle lettere emergono…

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