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New Deal e corporativismo/3 – La cruna dell’ago

by Francesco Carlesi
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Roma, 6 dic – Come notato nei precedenti articoli, l’edificio corporativo che si stava lentamente edificando in Italia attirò grandissimo interesse negli Stati Uniti. Questa attenzione andò scemando nel corso degli anni, quando il New Deal venne pesantemente ostacolato (ad esempio dalla Corte Suprema) e nella politica estera dei due paesi si cominciò a scavare un fossato incolmabile. Solamente la guerra permetterà agli Usa di rimettere in carreggiata la propria situazione economica.

In ogni caso, il tratto principale che va rilevato è che la nostra nazione seppe distinguersi in un dibattito culturale ed economico di livello internazionale, lanciando un messaggio sociale importante e divenendo esempio per diverse nazioni.. Pensiamo solo alle esperienze austriache, portoghesi e spagnole degli anni Trenta, o a nomi come quelli di Henri De Man, Werner Sombart, Mihail Manoilesco.

Perfino verso la Russia sovietica ci fu da parte di molti intellettuali fascisti uno studio e un’attenzione particolare, che diede vita ad analisi d’alto valore scientifico (come quelle di Ettore Lo Gatto), accanto a dibattiti inaspettati ed “esplosivi”. Quando sulle pagine di «Critica Fascista» si aprì la questione «Roma e Mosca o la vecchia Europa?» nei primi anni Trenta, insieme a molti critici vi furono diversi giornalisti che ravvisarono somiglianze tra bolscevismo e fascismo, ed altri addirittura predissero futuri incontri.

Molto semplicemente, quindi, il contributo italiano fu parte integrante della fase di «più intenso ripensamento del rapporto tra economia, società e politica» sul piano mondiale, come ha osservato Alessio Gagliardi. L’idea corporativa fu un significativo momento della storia del pensiero economico, nel quale lo spostamento dell’attenzione dal comportamento del singolo individuo al comportamento di gruppi sociali considerati globalmente ha portato gradualmente all’approccio macroeconomico..

Dall’unità ad oggi è difficile trovare altri momenti in cui l’Italia seppe esprimere concetti di pari portata, suscitare dibattiti e tentare la mobilitazione del popolo verso una costruzione socio-economica così complessa e originale. La miniera rappresentata dalla legislazione e dalle opere teoriche del pensiero corporativo, distrutta dal secondo conflitto mondiale e rimasta sepolta dai pregiudizi e dal dilettantismo della storiografia, merita di essere riportata alla luce nella sua vitalità. L’opera di giovani studiosi Corporativismo del III millennio è un piccolo tentativo in questo senso, per immaginare soluzioni alla crisi attuale che sappiano andare oltre i dogmi liberali (o marxisti). Le difficoltà odierne coinvolgono le democrazie parlamentari e i concetti stessi di lavoro e libertà. Per “ricostruire” il destino del popolo italiano, passare per la “cruna dell’ago” rappresentata da coordinate corporative quali la concezione organica dello Stato e le idee di responsabilità e partecipazione dei lavoratori potrebbe essere una scelta obbligata.

 

Francesco Carlesi 

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