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Quando le opere durano nel tempo: Giuseppe Terragni e la Casa del Fascio di Como

by La Redazione
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casa del fascio

Roma, 24 ott – Quando ascoltiamo qualche notizia di cronaca nera riguardo l’edilizia – un ponte crollato, una strada collassata, un palazzo che rischia di implodere sui materiali di scarto coi quali è costruito – viene talvolta automatico ripensare a tutte le antiche bellezze che la nostra nazione conserva nel suo paesaggio fin dai tempi più ancestrali. Tuttavia non è necessario tornare troppo indietro nella storia per riscoprire un modello di architettura che ben poco ha a che fare con quella consumistica odierna. Un’architettura fatta per durare in eterno, sia materialmente che nei suoi contenuti più astratti e concettuali, è presente in Italia fino a meno di un secolo fa.

Non sono pochi gli architetti che durante gli anni venti e trenta del ‘900 hanno contribuito ad arricchire le nostre città e i nostri borghi con opere ritenute tutt’ora di inestimabile valore. Pensiamo al “Colosseo quadrato” all’Eur di Roma, o al Palazzo Emme a Latina, che prende il nome dalla forma dello stesso, evocante il cognome di Benito Mussolini.

La Casa del Fascio di Como

Anche nel comasco troviamo un esempio di queste opere eterne e senza tempo: la Casa del Fascio di Como. Questa, infatti, non solo intende nel suo progetto resistere all’usura del tempo (cosa che le sta riuscendo benissimo) ma anche richiamarsi ad un concetto di architettura senza tempo: quello del Forum romano e delle sue strutture aperte sulla piazza, collegate direttamente al popolo, alla cittadinanza. Il palazzo, ora sede di una caserma della Guardia di Finanza, presenta una facciata estremamente lineare, rigida, suddivisa in riquadri vuoti che ospitano numerosi balconi (dai quali il Duce avrebbe dovuto arringare la folla Comasca) e ben diciotto porte in vetro dall’apertura simultanea che pongono sullo stesso piano, collegando la struttura alla piazza, lo Stato ed il cittadino.

La Casa del Fascio di Como fu progettata dal rinomato architetto Giuseppe Terragni. Nato nel 1904, a tredici anni si iscrive al corso di fisica-matematica all’istituto tecnico di Como. Ottiene la laurea della Scuola Superiore dell’architettura nel 1926 e quello stesso anno firma il manifesto del gruppo 7, una congrega di amici architetti decisi a condurre l’Italia sulla via del razionalismo, ritenendolo comunque inscindibile dal culto della tradizione tanto radicato in Italia più che altrove. Terragni e i sei amici infatti sanno bene che una concezione del razionalismo, sradicata dal passato tradizionale e artistico del Bel Paese, risulta vuota nello spirito prima ancora che nell’aspetto. Proprio per questo, nonostante il carattere immensamente concreto e pratico dell’architettura razionalista, Terragni non esclude parti ornamentali e decorative, come un locale apposito che avrebbe dovuto ospitare un’esposizione di opere artistiche.

Come per ogni grande personaggio d’Italia vissuto in quel periodo, oggi si cerca di sminuire l’appartenenza di Terragni al fascismo, ma a smentire queste tesi basta far presente che quando viene incaricato al progetto della costruzione della struttura comasca nel 1928, egli è fiduciario del Sindacato Fascista Architetti e di conseguenza si assume la responsabilità della progettazione senza ricevere alcun compenso. Sicuramente un gesto troppo generoso per una persona ‘in contrasto col Regime’ come a qualcuno piace dire in giro.

Le altre opere di Terragni

Oltre alla Casa del Fascio della città lombarda, Terragni ha lasciato alla nostra nazione altre importanti opere razionaliste, come l’Asilo Sant’Elia sempre a Como, che rivede l’utilizzo di ampie vetrate per sviluppare un concetto di scuola all’aria aperta e la Casa del Fascio di Lissone. Questa struttura in particolare, dopo la guerra civile diviene ‘Casa del popolo’ e subisce gravi danni a causa della mancanza di manutenzione. Con la caduta del Fascismo comincia ad intravedersi quindi lo scadere di quel concetto di edificio/arte fatto per durare in uno splendore marmoreo.

Nel ’39 Terragni viene chiamato alle armi e con il ruolo di capitano d’artiglieria combatte sul fronte Jugoslavo ed in seguito nella campagna di Russia, continuando a coltivare la propria passione artistica appuntando disegni e schizzi di quel “[…] paese di interesse davvero singolare”. Congedato nel 1943 per problemi di salute, muore a trentanove anni sotto la soglia della casa della propria fidanzata, che aveva provato a raggiungere in seguito all’inizio di un malore. In tasca aveva alcuni fiori secchi raccolti sul fronte russo. Sopravvivono a lui i suoi progetti, riconosciuti in tutto il mondo come opere di incredibile bellezza, come può risultare bello un tempio di marmo in un quartiere di baracche dai tetti d’amianto.

Marco Scarsini

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1 commento

jenablindata 24 Ottobre 2020 - 1:20

non entro nel merito della politica.
ma faccio notare che fin troppe costruzioni moderne
non reggono il paragone con cose edificate
parecchi anni o secoli fa,quando la vita era ben più insicura e corta:
eppure,le case,le strade,i ponti e i palazzi erano COSTRUITI PER DURARE.
e costare quindi,il meno possibile in manutenzioni e rifacimenti,negli anni.

altri tempi…
quando la mentalità dello stato badava più al sodo di un lavoro fatto bene,che alle tangenti:
e quando la mentalità politica di un governo non pensava SOLO a navigare a vista..
rubando il più possibile e facendo terra bruciata agli avversari:
c’era rispetto…
per la cosa pubblica,per il cittadino che la pagava…
e perfino per gli avversari politici,che avrebbero amministrato
comunque UNA COSA PUBBLICA,che è proprietà comune.

quando recupereremo quel tipo di mentalità?
la mentalità di uno STATO VERO…
e non una repubblica delle albicocche.

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