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Origine, libertà e destino nel pensiero di Giorgio Locchi

by Valerio Benedetti
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Giorgio Locchi

Roma, 9 nov – Inutile girarci intorno: nel secondo dopoguerra, Giorgio Locchi è stato il pensatore più profondo del mondo cosiddetto «non conforme». E forse è proprio per questo che è stato dimenticato. Ma perché tale apparente paradosso? Semplice: perché il suo pensiero – originario e originale a un tempo – non è consolatorio, ma provocatorio. Nel senso che ci «chiama fuori», ci invita ad abbandonare delle certezze illusorie per immergerci in una dimensione agonale dell’esistenza. La filosofia locchiana, infatti, era ed è un pensiero del conflitto e delle questioni veramente decisive della nostra epoca. Per giunta, non è pensiero superficiale, buono per strumentalizzazioni politiche un tanto un al chilo. Al contrario, quello di Locchi diventa un pensiero politico – e sommamente politico – solo nella misura in cui è un pensiero essenziale, anzi abissale. E perciò autenticamente rivoluzionario.

Il nuovo libro di Damiano per Altaforte

È per tutti questi motivi che va salutata con grande favore la pubblicazione per i tipi di Altaforte del volume Il pensiero dell’origine in Giorgio Locchi, l’ultima fatica di Giovanni Damiano. L’operazione condotta dall’autore è a prima vista spiazzante: per comprendere la profondità della filosofia locchiana, sostiene Damiano, occorre decontestualizzarla, e pertanto analizzarla al di fuori della sua cornice politica. Quest’operazione però, va detto con forza, non mira a rendere astratto o anodino il pensiero di Locchi. Tutt’al contrario: serve a penetrare nella sua essenza, nel suo «luogo», per dirla con Heidegger.

In effetti, Giorgio Locchi viene solitamente ricordato per la sua partecipazione alla nascita del Grece, e quindi della Nuova destra francese. Senza Locchi, probabilmente, non ci sarebbe mai stato Alain de Benoist. Inoltre, del pensatore romano si ricordano soprattutto il saggio L’essenza del fascismo (corredato da un’intervista all’autore realizzata da Marco Tarchi), nonché il suo capolavoro Wagner, Nietzsche e il mito sovrumanista. Ovverosia due opere eminentemente politiche. Eppure, anche quando Locchi parla di politica, lo fa sempre da una prospettiva genuinamente filosofica. Ed è anzi proprio questo sguardo metapolitico che rende la sua produzione tanto affascinante quanto profonda.

La libertà storica dell’uomo

Nonostante tutto ciò, si diceva, Giovanni Damiano ha voluto studiare il Giorgio Locchi filosofo «puro», se così ci possiamo esprimere. E lo ha fatto strutturando il suo libro attorno a quattro capitoli, che sono poi quattro nuclei tematici: libertà, Nietzsche, mito e origine. Come ha notato già Adriano Scianca su queste pagine, «per Damiano, Locchi è innanzitutto un pensatore della libertà». In effetti, a mio parere il cuore della filosofia locchiana risiede in due concetti strettamente correlati: 1) la visione tridimensionale del tempo storico; 2) la teoria aperta della storia. Per Locchi – che rifiuta la concezione lineare, anzi unidimensionale della tradizione «pagana» (ciclica), giudaico-cristiana (parabolica) e progressista (sia marxista che liberale) – il tempo storico non è né una linea né un cerchio, bensì una sfera. In questo modo, passato, attualità e avvenire si sincronizzano nel presente, che altro non è che la coscienza umana. Ogni presente diventa centro e quindi, potenzialmente, origine e nuovo inizio. Questa teoria – che di primo acchito può apparire ostica o astrusa – è in realtà l’unica in grado di affermare la libertà storica dell’uomo. Una libertà che non viene vanificata o annientata da un’entità trascendente, sia essa la fortuna, il fato, la provvidenza, il progresso e così via. La libertà locchiana non è un «diritto» (qualunque cosa ciò voglia dire), ma una possibilità sempre immersa nel conflitto. E per questo è sì instabile, ma proprio per questo autentica e tragica, sempre da conquistare e proiettare in avanti. La libertà, insomma, non è vezzo o capriccio, ma fonte di storia e di destino.

L’origine in Giorgio Locchi

L’analisi di Damiano è molto articolata e profonda, e certo non è possibile qui sunteggiarla senza con questo banalizzarla. Eppure, la sua intuizione rimane corretta: in Giorgio Locchi l’origine non è qualcosa di dato o – peggio – di determinante, ma è essenzialmente evento. Questa notazione è di capitale importanza: se il mito non è «fondazionista» e l’origine è centro, allora il futuro riacquista la sua natura «eventuale». In altri termini, la storia è ancora aperta; non siamo condannati a seguire un percorso già tracciato, da cui non è possibile deragliare (la modernità progressista sorvegliata dai sacerdoti del globalismo trionfante). L’uomo, esercitando la sua libertà storica, può ancora forgiare il suo destino e – concretamente – scrivere un’altra storia. La sua storia. Perché questo è il vero significato dell’origine per come la intendono Locchi e Damiano: una possibilità sempre aperta sul divenire storico. Una voragine nel piano liscio della globalizzazione politicamente corretta. Uno squarcio temporale nell’inesorabile clessidra dei cantori del progresso liberal-capitalistico. Una folgore abbagliante che – anche solo per un attimo – riporta la luce in un mondo di tenebre.

Valerio Benedetti

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