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Il partito democratico che votava Mussolini

by Alfonso Piscitelli
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partito democratico

Il 31 ottobre del 1922 la Camera dei deputati conferì la fiducia a Benito Mussolini col voto favorevole dei fascisti, dei nazionalisti e dei liberali, che si erano presentati uniti alle elezioni nei Blocchi nazionali, e con l’aggiunta determinante del Partito popolare italiano di don Sturzo e de Gasperi, nonché di un partito a prevalente estrazione meridionale, la cui sigla era Pds: il Partito della democrazia sociale, il quale peraltro, in alcune circoscrizioni elettorali, si presentava con la sigla abbreviata di Partito democratico.

Questo articolo è stato pubblicato sul Primato Nazionale di ottobre 2022

Nomen (non) est omen

Il Partito democratico (sociale) era dunque un raggruppamento di sinistra moderata che, di fronte all’estremizzazione bolscevica e alla crisi del sistema liberale, aderiva alla formula di un governo di larghe intese arricchito anche dalla presenza di «tecnici», come si direbbe oggi, quali il generale Diaz, il filosofo Gentile, l’economista De Stefani.

D’accordo, le analogie tra quel Partito democratico sociale che diede la fiducia al primo governo Mussolini e il nostro beneamato Pd finiscono qui… Il Partito democratico attuale nasce da una duplice frana: quella del Partito comunista italiano, crollato sotto le macerie del Muro di Berlino, e quella della Democrazia cristiana, dissoltasi dopo Tangentopoli. Sotto gli scossoni dei due terremoti, il Pd emerge sostanzialmente dal connubio tra la corrente migliorista del Pci e la sinistra di base della Dc (i famosi «comunistelli di sacrestia»): tronconi della Prima Repubblica entrambi graziati dai giudici, vuoi per l’innata onestà dei loro esponenti, vuoi per altre ragioni che non ci è dato sindacare.

Tutt’altra storia quello della Democrazia sociale guidata dal duca Giovanni Antonio Colonna di Cesarò: una storia che discendeva dalla sinistra risorgimentale attraverso i rami del radicalismo, di cui il duca era stato esponente prima della Grande guerra.

Il Partito democratico nel segno di Steiner

Il Partito radicale, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, si distingueva dall’affine Partito repubblicano per una minore intransigenza nei confronti dell’istituto monarchico e, se da un lato auspicava una serie di riforme per estendere la partecipazione politica ai ceti della media e piccola borghesia, dall’altro non disdegnava di attirare bei nomi dell’aristocrazia, come appunto quello del duca Colonna di Cesarò, il quale non era cresciuto certo in ambienti antisistema.

Era infatti nipote di Sidney Sonnino, il politico liberale che in qualità di ministro degli esteri pilotò l’Italia dal neutralismo all’intervento nella Grande guerra. Ma una figura fondamentale per comprendere la personalità del duca fu sua madre Emmelina De Renzis: una delle prime dame dell’alta società romana ad accogliere e diffondere le idee di Rudolf Steiner, ovvero della «riforma» mitteleuropea della teosofia anglo-indiana. Grazie all’interessamento della De Renzis, ma anche al placet di Benedetto Croce, molte opere di Steiner furono pubblicate dalla casa editrice Laterza. I gruppi antroposofi avevano raggiunto una certa consistenza numerica a Roma, Milano e in città come Trieste, che fino alla fine della…

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