I giovani rappresentano l’essenza per qualsiasi società si voglia ritenere vitale. Se il tema del cosiddetto «giovanilismo» ha assunto negli ultimi decenni connotazioni assai critiche, soprattutto per la prospettiva piuttosto scialba e ignava che i ragazzi contemporanei incarnano nella loro visione di futuro (non è un caso che alcuni specialisti parlino di «patologia del giovanilismo»), non c’è dubbio che la storia – a cui non fa eccezione quella italiana – ha partorito testimonianze importanti dell’energia e della forza che rappresentano le nuove generazioni per qualsiasi progresso sociale volto ai grandi cambiamenti. Giovinezza, primavera di bellezza era d’altronde un canto molto popolare durante il Ventennio fascista (pur essendo a sua volta metamorfosi di una versione originale parecchio precedente all’instaurazione dello stesso regime), a dimostrazione di come le classi politiche del tempo ne considerassero l’importanza de facto.
Questo articolo è stato pubblicato sul Primato Nazionale di aprile 2023
Di «giovani» intesi nel senso moderno del termine – richiamante un aspetto anche superficiale oltre che sostanziale – si può tuttavia parlare solo nella seconda metà del XX secolo: prima è difficile inquadrare una «classe giovanile» in modo così definito, stante soprattutto la più bassa età media e il passaggio quasi istantaneo alla maturità (maschile o femminile che fosse). La moderna società capitalistica, in un certo senso, «crea» i giovani per come li conosciamo, un aspetto che molti sociologi hanno affrontato proprio negli anni Novanta del secolo scorso. Essi guadagnano visibilità, dapprima come coloro che assicurano la «conservazione dell’esistente», poi come espressione di contestazione e rivolgimenti. Tuttavia costoro, senza essere enfatizzati troppo, anche nel passato sono stati colonne portanti di cambiamenti epocali che sarebbe impossibile ignorare.
I giovani da Genova a Vittorio Veneto
Solo guardando alla storia di questa nazione, non c’è dubbio che la gioventù ha rappresentato un’iniezione di adrenalina per quelli che sono stati i suoi grandi mutamenti storici. Suona quasi bizzarro se si pensa all’Italia contemporanea, Paese «anziano», nei numeri e nella triste decrescita demografica, che di quella forza non conserva più nulla (come, d’altronde, buona parte degli altri Paesi occidentali). Ma che di quella energia si è nutrito eccome nei secoli passati. Giovani erano coloro che seguirono Giuseppe Mazzini nei suoi propositi rivoluzionari di unità della patria, come molti giovani animarono il Risorgimento o gli stessi garibaldini che popolarono la spedizione dei Mille. Giovani furono i cosiddetti «ragazzi del ’99» (riferito ovviamente al 1899), che costituirono la spina dorsale della riscossa italiana nella Grande guerra dopo la tragedia di Caporetto. Molti giovani vennero coinvolti nella Rivoluzione fascista e, diciamolo, anche tanti ragazzi furono la spina dorsale del clamoroso boom economico che trasformò, negli anni Sessanta del secolo scorso, un Paese che era sempre stato agricolo in una delle principali potenze industriali al mondo.
Dallo stesso nome dell’associazione che Mazzini fondò si evince l’importanza dell’energia vitale delle nuove generazioni. Nuove leve – in tutti i sensi – il cui salto nella maturità era nell’Ottocento praticamente immediato, non essendoci quella lunga fase di transizione alla quale oggi siamo abituati al punto, forse, di osservare i nostri ragazzi affrontare una fatica sempre maggiore a diventare uomini. Nossignori, la maggiore età di 18 anni viveva un’epoca davvero «maggiore», in cui responsabilità e obblighi venivano affrontati immediatamente, con una rapidità oggi sconosciuta.
Primavera di bellezza
Lo dimostrano proprio gli anni del Mazzini al tempo della fondazione della Giovine Italia: appena ventisei, un momento di definizione per il pensatore genovese da cui egli stesso non avrebbe mai potuto più fare marcia indietro. Perché il giovane Mazzini era l’essenza della «giovine» Italia: i ragazzi di allora, provenienti da diverse regioni dell’aspirante nazione unita (Liguria, Toscana, Piemonte), la popolarono e le diedero manforte. Giovanni Domenico Ruffini vi aderì ad appena ventiquattro anni, e così il fratello Jacopo, a ventisei.
Forse la linfa vitale che caratterizzò l’Italia della prima metà del XX secolo trova la sua creazione più genuina proprio nella Grande guerra. Un evento capitale non solo per la formazione della nazione nella sua espressione più moderna, ma anche per la catena di eventi che ispirò al suo seguito. La «vittoria» non fu mai soltanto quella del 1918, ispirata da quei «ragazzi del 1899» assurti giustamente al rango mitologico dei grandi destini. La gioventù che sacrificò per la nazione la vita e in molti casi anche l’incolumità fisica. Sebbene ci fosse stato chi, tra quei…