Roma, 12 feb – Sebbene il metaverso non sia ancora del tutto una realtà (seppur virtuale) è indubbio che dal “Powered by Meta” delle nostre applicazioni più usate (Facebook, Instagram, WhatsApp ecc.), a qualunque cosa stiate facendo su internet (anche fissare il vostro schermo nero in attesa di qualche insperata rivelazione), ci sarà sempre qualche vip – attore, cantante, sportivo – pronto a tessere le lodi di questo non luogo e a invitarvi a entrarci il prima possibile. Cerchiamo dunque di spiegare come e perché siamo già dentro il metaverso fino al collo, con la stessa impotente sensazione di morte imminente di chi si trovi nella sabbie mobili.
Cos’è il metaverso
Per capire al meglio in cosa consista questo universo, abbiamo ascoltato direttamente la fonte: quasi due ore di conference di Mark Zuckerberg e personaggi dal calibro di Marne Levine, più altre ricerche online anche perché, come dicevamo prima, si tratta di una materia in continua evoluzione.
Partiamo dal nome metaverse, una realtà fittizia presente nel libro cyberpunk Snow Crash (1992) di Neal Stephenson, in cui ognuno poteva realizzare in 3D negozi, uffici, locali, palestre ecc., in una sorta di visione futuristica del web che oggi si realizza in maniera quasi completa. Stephenson provò ad avvisarci sul potenziale pericolo di un mondo simile in cui la differenza di classe è rappresentata dall’avatar: grigio e con pochi pixel per i poveracci, colorato e sfavillante per i ricchi, i quali hanno accesso ai posti migliori e possono muoversi in questo universo come gli pare e piace. Ma ci sono anche moltissimi film che denunciarono la realtà virtuale, alcuni famosissimi come la saga Matrix con l’iconica redpill, altri meno conosciuti ma considerati dei cult come Il Tagliaerbe e Tron, film di animazione come Ghost in the Shell, oppure body horror come Existenz. Ma possiamo citare anche The Cell, Gamer, The Thirteen Floor o ancora Blade Runner (pensiamo soprattutto al remake con la fidanzatina virtuale di Officer K).
A proposito di film, è proprio Existenz di David Cronenberg (1999) che ci offre il migliore assist per decifrare questo nuovo fenomeno: in questo caso abbiamo dei gamer che, per partecipare al videogioco, vengono pluggati alla console direttamente dalla loro spina dorsale, entrando quindi di fatto in una esistenza parallela e virtuale che, però, avrà delle ripercussioni estreme sulla loro vita reale. In poche parole, non è solo un gioco. Ed è proprio dall’universo dei gamer che abbiamo la migliore definizione di metaverso. I videogiochi, infatti, sono i primi ad aver sfruttato dei device in grado di proiettarci nel 3D (pensiamo alla Wii con i suoi set visuali, caschi, racchette virtuali ecc.), a permetterci di creare un avatar e a personalizzarlo (spesso pagando per aver un bel vestito o – ad esempio – delle armi più performanti) e, soprattutto, a tenerci ancorati e – proprio come in Existenz – pluggati, pena la perdita degli aggiornamenti, dei Level up, ossia di tutte le evoluzioni del gioco e del nostro personaggio acquisiti con tanta dedizione online e altrettanti bitcoin.
Connettersi per non disconnettersi più
E, non a caso, è proprio Mark Zuckerberg a parlaci di gaming nella prima fase della sua conferenza, affermando altresì che grazie ad un particolare gioco di cui non faccio il nome, riuscì a “superare i primi mesi della pandemia”. Il gioco quindi è un caso emblematico proprio a causa dell’impatto emotivo e dei continui upgrade: una volta connessi è praticamente impossibile uscirne. Sempre Zuckerberg – a tratti si ha davvero l’impressione che dietro quella faccia liscia come l’olio si nasconda l’uomo serpente dei Visitors o l’alieno di Essi Vivono, o ancora uno degli alieni culoni di Bad Taste, quelli che mangiano le deiezioni umane, per intenderci – ci parla di giochi famosissimi, introducendo casualmente il nome di Billie Eilish, per cambiare argomento e parlare di musica e concerti in una serie di, come li chiama lui, “Non stop events” da cui – alla fine – è impossibile scollegarsi, in cui i nostri avatar potranno partecipare, non senza prima aver aggiornato il loro guardaroba e pagato l’ingresso per un after party con la band, rigorosamente di colore.
I rischi del forzato cambiamento
Dalla musica o dall’arte in generale, si passa all’allenamento, con accessori e visori che ci permettono di boxare con vere e proprie leggende e, perché no, avere McGregor come allenatore personale, ovviamente dietro lauto compenso in crypto valuta. Estendete la stessa cosa a tutti i campi vitali, lavoro, turismo, apprendimento, economia, ambiente, e avrete un’idea più puntuale su quale sia il vero volto del metaverso: un ambiente irreale in cui replicare tutte le ingiustizie sociali, ritrovare il cancro del politicamente corretto (fantastica la morale su di un mondo più sostenibile in cui i nostri viaggi saranno virtuali e la nostra impronta ecologica pari a zero), fuggire dalle proprie preoccupazioni e dalla realtà, invece di plasmarla con la nostra Volontà, in poche parole, rinunciare alla vita. Senza parlare dell’apprensione a proposito dell’utilizzo dei dati personali e del diritto alla privacy che erano già andati a farsi fottere con i social e che adesso finiranno in un cimitero per sempre. C’è chi preme il piede sull’acceleratore di questo pernicioso cambiamento, ma – lungi da voler apparire come dei “retrogradi” Luddisti o come l’incompreso Ted Kaczynski, pensiamo sia il caso di tornare coi piedi per terra, fuori dalla melma fangosa del web, liberi dall’eterna consolle.
Chiara del Fiacco
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