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Il terrorismo jugoslavo in Italia negli anni ’20 e ’30: una pagina dimenticata

by La Redazione
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terroristi jugoslavi tigr

Trieste, 14 lug – Quanto avvenuto a Basovizza ad opera del presidente della Repubblica Italiana, giunto a prostituire i Martiri delle Foibe paragonandoli ai terroristi del TIGR (Revolucionarna organizacija Julijske krajine Trst- Istra- Gorika- Rjeka: Organizzazione rivoluzionaria della regione Giulia, Trieste, Istria, Gorizia, Fiume) autori dell’attentato al Popolo di Trieste per tenere la manina dell’omologo di Lubiana Boris Pahor (e le norme sulla distanza per il Covid19?!) segna sicuramente una delle pagine peggiori della Repubblica nata dalla disfatta e dalle calcolatrici di Romita nel 1946 e che già di per sé costituisce la pagina più triste e decadente della storia italiana.

Il terrorismo jugoslavo in Italia negli anni venti

Per capire quanto in basso si sia scesi bisogna riassumere la questione (troppo spesso dimenticata) del terrorismo finanziato dal Regno jugoslavo in Italia negli anni Venti. L’ostilità verso l’Italia da parte degli slavi non risaliva alla vittoria italiana del 1918 ed all’avvento del Fascismo, ma trovava le proprie radici sotto l’Austria Ungheria ed il suo divide et impera, rafforzandosi con il regno raffazzonato degli Slavi del Sud, creato dai francesi in chiave anti italiana. Si pensi alla questione, totalmente dimenticata, del terrorismo di matrice slava in Venezia Giulia tra le due guerre, diretto contro le istituzioni dello Stato, gli appartenenti alle Forze dell’Ordine e dell’Esercito e poi contro la Milizia, le ferrovie, le scuole ed anche i civili.

Per essere più precisi, si deve parlare di terrorismo jugoslavo, perché direttamente finanziato dai servizi segreti di Belgrado e non assolutamente fenomeno spontaneo. Una breve valutazione dell’entità del terrorismo jugoslavo in Venezia Giulia può essere fornita dal seguente elenco, largamente incompleto, delle loro operazioni. Nel periodo 1920-1922. prima dell’avvento al potere di Mussolini, si hanno le seguenti azioni omicide ad opera dei terroristi slavi.

L’elenco degli attentati jugoslavi

-Asassinii del maresciallo della Guardia di Finanza  Postiglione, della guardia regia Giuffrida, del finanziere Plutino, del carabiniere Cecchin, della guardia regia Poldu, del tenente Spanò e del sergente Sessa, avvenuti a Trieste.

-Asassinio del finanziere Stanganelli avvenuto a Postumia.

-Asssinio del brigadiere dei Carabinieri Ferrara avvenuto a Pola.

-Asassinio del soldato Palmerindo avvenuto a Carnizza.

A partire dal 1924, risoltosi formalmente il contenzioso italo-jugoslavo con il trattato di Rapallo, lo stato jugoslavo pratica una politica di doppiezza, formalmente ed ufficialmente riconoscendo il confine pattuito, di nascosto appoggiando e finanziando altri gruppi terroristici. I quali sono responsabili delle seguenti azioni:

-Attacco militare ai posti della Guardia di Finanza di Coterdasnizza e di Molini.

-Assalto compiuto da una banda di una ventina di armati, provenienti da oltre confine, attaccarono il corpo di guardia del valico confinario di Unez, uccidendone il comandante, il sottobrigadiere Lorenzo Greco.

-Nell’aprile del 1926 fu attaccata a scopo di rapina la stazione ferroviaria di Prestrane, con uccisioni del ferroviere Ugo Dal Fiume e la guardia di finanza Domenico Tempesta.

-Nel mese di luglio 1926 fu appiccato il fuoco ad un bosco del comune di Trieste,

-Nel novembre 1926 avvenne un attentato dinamitardo alla caserma di San Pietro del Carso, con la morte di Antonio Chersevan, mentre rimasero gravemente feriti Francesco Caucich ed Emilio Crali.

-Nella notte del 10 febbraio 1927, nelle vicinanze del castello di Raunach vi fu un’imboscata ad una pattuglia di militari, con sparatoria in cui rimasero feriti Andrea Sluga e Francesco Rovina.

-Nel maggio 1927 fu tesa, sulla strada tra Postumia e San Pietro del Carso, un’altra imboscata ad una di queste pattuglie, ed in essa rimase ferito il soldanto Cicimbri.

-Il 29 dicembre del 1927 di quell’anno fu incendiato il Ricreatorio di Prosecco.

-Nell’aprile del 1928, ancora a Prosecco, fu incendiata la scuola elementare.

-Nel maggio dello stesso anno fu incendiata quella di Cattinara e fu tentato l’incendio dell’asilo infantile dell’Opera Nazionale Italia Redenta di Tolmino.

-Il 3 agosto 1928 ebbe luogo l’assassinio a tradimento della guardia municipale di San Canziano, Giuseppe Cerquenik.

-Nello stesso mese fu incendiato il ricreatorio della Lega Nazionale di Prosecco.

-Ai primi di settembre del 1928 fu incendiata la scuola di Storie.

– Il 22 settembre 1928, a Gorizia, furono uccisi lo studente Coghelli ed il soldato Ventin che aveva cercato di fermare l’assassino del Coghelli.

-Nel gennaio 1929 si ebbe la devastazione dell’asilo infantile di Fontana del Conte.

-Nel marzo 1929 ci fu l’assassinio, a Vermo, di Francesco Tuchtan.

-Nel giugno 1929, si ebbe l’incendio della scuola di Smogliani.

-Nel luglio 1929 fu fatta saltare in aria la polveriera di Prosecco.

-Nel novembre 1929 avvenne la rapina all’ufficio postale di Ranziano.

-Nel dicembre 1929 si ebbero i tentati omicidi dell’agente Curet a S. Dorligo della Valle e della guardia Francesco Fonda.

-Nel gennaio 1930 vi fu l’attentato al Faro della Vittoria a Trieste.

-In febbraio fu incendiato l’asilo infantile di Corgnale.

-Sempre a febbraio fu assassinato a Cruscevie il messo comunale Goffredo Blasina.

-Il 10 febbraio ci fu l’attentato dinamitardo al Popolo di Trieste, in cui morì lo stenografo Guido Neri, mentre rimasero gravemente feriti i correttori di bozze Dante Apollonio, Giuseppe Missori ed il fattorino Marcello Bolle: per questo crimine vennero condannati a morte i terroristi del TIGR omaggiati da Mattarella e Pahor.

-Nel maggio del 1930 furono assassinati a San Dorligo della Valle i coniugi Marangoni.

-Nei primi giorni del settembre 1930, in uno scontro a fuoco con dei terroristi sloveni che cercavano d’introdursi in regione, fu uccisa la guardia alla frontiera Romano Moise e il suo commilitone, Giuseppe Caminada, fu gravemente ferito.

Dietro gli attentati c’era Belgrado

Si noti come questo elenco sia approssimato per difetto, sebbene presenti un bilancio impressionante per numero di azioni terroristiche e loro gravità. Ciò che rende particolarmente gravi le azioni suddette è il fatto che esse non furono opera di gruppo clandestini indipendenti, bensì di organizzazioni terroristiche create, controllate ed organizzate dallo stato jugoslavo stesso. Lo stato jugoslavo perseguiva una politica di doppiezza, da una parte riconoscendo ufficialmente la frontiera ottenuta dall’Italia, dall’altra costituendo dei nuclei armati terroristici, che avevano le loro sedi in territorio jugoslavo ed erano organizzate, addestrate, armate, guidate dall’esercito jugoslavo.

Il 24 marzo 1929, durante le elezioni politiche italiane del 1929, un gruppo di militanti del TIGR della zona di Pisino, capeggiati da Vladimir Gortan, mise in atto un’azione armata di boicottaggio delle operazioni di voto. Si formarono due gruppi di fuoco, uno composto dal solo Gortan, e l’altro da Bacchiaz e dai due fratelli Lavadaz. I due gruppi, appostati l’uno sul Monte Camus e l’altro nei pressi di Villa Padova, avrebbero dovuto sparare sugli elettori che, in colonna, si recavano ai seggi attraverso la campagna. Secondo le risultanze processuali, Bacchiaz e i fratelli Lavadaz aprirono il fuoco ad altezza uomo: uno sparo colpì il contadino Giovanni Tuchtan (Ivan Tuhtan), che morì alcuni giorni dopo, ferendone un secondo, di nome Matteo Braicovich (Matej Brajković).

Vladimir Gortan venne individuato quale organizzatore dell’azione terroristica, e fu condannato a morte dal Tribunale speciale per la difesa dello Stato, trasferitosi per l’occasione da Roma a Pola. Fu fucilato il 18 ottobre 1929 vicino a Pola. Quattro suoi compagni (Vittorio Bacchiaz, Dušan Ladavaz, Luigi Ladavaz e Vitale Gortan) vennero condannati a 25 anni di carcere ciascuno.

Il 7 febbraio del 1930 viene assassinato a Crenovizza il messo comunale Bogomir Blažina, sloveno, iscritto al Pnf e milite nella Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale. Le Autorità italiane scoprirono l’organizzazione TIGR solo dopo l’attentato alla redazione del giornale  triestino Il Popolo di Trieste. Gli assassini vennero processati dal Tribunale speciale per la difesa dello Stato; il processo durò dal 1 al 5 settembre 1930 e vi furono condannati a morte Ferdo Bidovec, Fran Marušič, Zvonimir Miloš e Alojz Valenčič, fucilati a Basovizza il 6 settembre 1930, mentre ad altri dodici imputati vennero comminate pene detentive per un totale di 147 anni e 6 mesi di carcere. Su ventisette condanne a morte per motivi non politici eseguite tra il 1926, data della reintroduzione della pena capitale in Italia, sino al 1940 sei riguardarono italiani (tra cui tre membri della M.V.S.N.) e ventuno terroristi slavi colpevoli di assassinio. Si noti, motivi non politici: i fucilati di Basovizza non erano antifascisti, ma terroristi condannati per omicidio e non per ragioni politiche.

Le ripercussioni del terrorismo nei rapporti tra italiani e slavi

Un tale terrorismo non poteva non avere conseguenze nei rapporti tra autorità e le popolazioni slave annesse con i nuovi confini (mentre le popolazioni slovene della val di Resia e del Natisone, già italiane dal 1866 non ebbero problemi di sorta, anche per la fedeltà all’Italia tale che in due guerre mondiale gli sloveni del Natisone non ebbero neppure un singolo disertore). Gli slavi vennero visti come quinta colonna del terrorismo di Belgrado, e vennero fatti oggetto di persecuzioni non ufficiali ma altrettanto pesanti da parte delle autorità e dei fascisti locali, che avevano a loro volta vissute nell’anteguerra le angherie degli slavi, appoggiati dall’Austria, contro gli italiani, ed anche di quelli dei fascisti di lingua slovena e croata, che non furono pochi.

Nell’autunno 1921, gli sloveni e i croati residenti nella Venezia Giulia dovettero fare i conti anche con quello che accadeva nel Regno SHS, dove il nuovo Re, Alessandro Karageorgevic (salito al trono il 16 Agosto), dopo mesi di scioperi e disordini di stampo bolscevico, aveva deciso di porre fuori legge il Partito Comunista ed arrestare decine di Deputati. La repressione ebbe riflessi in Venezia Giulia e in Istria. Era chiara l’interpretazione dei fatti: nessun Governo – né italiano, né slavo – sarebbe rimasto inerme in balia delle piazze e delle proteste popolari. Per molti sloveni e croati le repressioni governative nel Regno SHS erano il chiaro esempio di come fosse inutile uno “schieramento nazionale” slavo guidato dal “borghese” Edinost. Di conseguenza, al patriottismo iugoslavista era ben più preferibile il bolscevismo sovietico, al quale si convertirono anche molti nazionalisti slavi che, fino ad allora, avevano appoggiato l’Edinost. Non mancarono, in questo “contesto evolutivo”, prosegue Cappellari, Sloveni e Croati che cominciarono a valutare positivamente il vivere in Italia e, addirittura, il fascismo, quel movimento che si stava espandendo poderosamente in tutta la Venezia Giulia e in Istria, che forse non era tanto anti-slavo quanto anti-comunista.

Il “fascismo slavo”

Nasceva quello che fu definito un vero e proprio “fascismo slavo”, come scrive Pietro Cappellari, un aspetto misconosciuto del fascismo provinciale antemarcia:

Gli iniziatori del movimento furono dei modesti pubblicisti che fin dal 1919-20 avevano fatto apparire a Gorizia un periodico, parzialmente finanziato, di tempo in tempo, dal Governo italiano. Erano gli Sloveni che ritenevano la collaborazione con l’Italia indispensabile e che trovavano sostenitori […].

Quando il gruppo passò al fascismo nel 1921, il grosso degli aderenti – si disse – proveniva da tutt’altra direzione; erano spesso degli Sloveni rossi che, delusi dalla scissione di Livorno, avevano abbandonato il movimento classista per cercare altrove una promessa di riscatto. In quelle valli abbandonate, in quelle terre carsiche confinarie, la politica assumeva strane configurazioni e a degli ex-rossi poteva esser piaciuto quel movimento che era guidato da un socialista originale, come poteva apparire, da lassù, Benito Mussolini.

[…] L’idea, poi, di formare delle squadre fasciste slovene, deve aver galvanizzato molti giovani, che sfilarono in Centurie per Gorizia, fin dall’Ottobre – mentre le squadre slovene dell’Istria nord-occidentale cooperavano alla conquista della Prefettura di Trieste [durante la Marcia su Roma]!

É interessante un intervento di Giunta a Montecitorio, in risposta alle consuete lagnanze di Wilfan per il mancato rispetto della lingua slava: «Onorevole, venga alle sfilate fasciste e sentirà come si usi impeccabilmente lo sloveno nel dare ordini alle squadre dei suoi connazionali in camicia nera».

[…] In Istria il fascismo slavo non nacque nel 1922, ma nei due anni precedenti, a fianco di quello italiano e fu quasi coevo. […] Il fascismo nei centri con prevalenza etnica croata non fu quasi mai capeggiato dagli Italiani locali, ma per lo più da autoctoni croati. E così le squadre fasciste periferiche furono spesso etnicamente omogenee.

Gli squadristi slavi erano ex combattenti nell’Imperial – regio esercito, per i quali il regno di Jugoslavia restava, ancor più dell’Italia, il vero nemico: ovvero quella Serbia che aveva scatenata la guerra assassinando Francesco Ferdinando e contro la quale avevano combattuto nel 1914. Del resto basti leggere i nomi dei caduti fascisti sul confine orientale: se Antonio Petronio assassinato a Visinada, il 19 ottobre 1921 aveva cognome prettamente italiano, per il fascismo erano periti gli squadristi Alfréd Sassech  assassinato a Pola il 16 settembre 1921, Josip Urk, caduto al valico di Unec (Postumia) il 4 gennaio 1922, Aldo Ivancich, caduto a Trieste il 23 aprile 1922 e Willi Haynau morto a Trieste il 22 giugno del 1922. Cognomi che ci sembrano eloquenti testimonianze di una realtà volutamente cancellata..

L’uso della lingua slovena e croata fu represso, anche se non proibito ufficialmente come spesso si afferma: ma il risultato non cambia, i nomi vennero forzatamente italianizzati, in parallelo con quanto avveniva in Dalmazia, i matrimoni misti palesemente ostacolati, ancora una volta senza che la proibizione fosse ufficiale, e divenne quasi d’obbligo equiparare pregiudizialmente sloveni e croati agli oppositori politici, tutti etichettati come antitaliani dalle numerose sentenze del Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato.

Come se ciò non bastasse, mentre nel resto d’Italia lo squadrismo andava sempre più perdendo vigore anche grazie alla creazione della Milizia, nei territori di confine l’uso del manganello e dell’olio di ricino contro chi era visto come di sentimenti tiepidi verso l’Italia ed il Regime o sospettato di appoggiare i terroristi panslavisti divenne quotidiano, così come il ricorso agli insulti e ad altre manifestazioni di disprezzo che inevitabilmente suscitavano per reazione profondi sentimenti di umiliazione e volontà di rivalsa da parte delle vittime. Tutto ciò fortunatamente si attenuò fortemente sino a scomparire con il miglioramento dei rapporti tra Roma e Belgrado nel corso degli anni ’30 e il patto Ciano-Stojadinovich del 1937, ma le prepotenze subite non vennero certo dimenticate, soprattutto quando le sorti della guerra volsero contro gli italiani, malgrado la leggenda nera dei fascisti cattivi non regga in realtà all’analisi storica, se quando Ciano propose all’ambasciatore jugoslavo Christich di migliorare la situazione delle minoranze slave in Italia, questi cadde dal proverbiale pero, e Ciano annotò nel Diario:

Con Christich abbiamo parlato delle minoranze slave della Venezia Giulia e, per facilitare la discussione parlamentare a Stojadinovich, gli ho detto che siamo ancora pronti a fare qualche cosa in favore loro. Ma non si sa che fare, sono popolazioni tranquille e non chiedono niente. Magari i tedeschi dell’Alto Adige fossero così docili.

Scopo del TIGR non era tanto difendere i diritti linguistici e culturali di sloveni e croati conculcati dal fascismo, tanto che agirono da prima dell’avvento del regime!, quanto soffiare sul fuoco dei rapporti italo-jugoslavi per provocare una guerra con l’obiettivo di annettere Trieste, Pola, Gorizia e Fiume al Regno di Jugoslavia. Più che antifascisti, erano irredentisti panslavisti che preferivano alla dittatura mussoliniana quella instaurata il 6 gennaio 1929 da Alessandro Karadjordjevic all’insegna del motto un re, uno stato, una nazione, una lingua. In quel Paese la lingua ufficiale era il serbo-croato, gli sloveni avevano un ruolo secondario e i comunisti venivano perseguitati, tanto che dal 1929 al 1932 il Tribunale speciale per la difesa dello stato jugoslavo celebrò 83 processi a loro carico, irrogando pesanti pene detentive. Alcuni di loro vennero poi uccisi o si suicidarono per evitare la tortura poliziesca. Ma non ditelo a Mattarella.Potrebbe svegliarsi.

Pierluigi Romeo di Colloredo Mels

Ibid.

F. Tessitore, Fascismo e pena di morte. Consenso e informazione, Roma 2000

A. Apollonio, Dagli Asburgo a Mussolini. Venezia Giulia 1918- 1922, Gorizia 2001, pag. 441.

P. Cappellari, Fiume trincea d’Italia. Il diciannovismo e la questione adriatica dalla protesta nazionale all’insurrezione fascista 1918-1922, Herald Editore, Roma 2018, pagg. 571-572.

Ibidem, pagg. 497-498.

Durante il Regime i nomi dei Martiri vennero riportati nella forma italiana.

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