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La tradizione indoeuropea: le radici del nostro avvenire

by La Redazione
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Si è spento oggi il noto studioso degli indoeuropei Jean Haudry. Ha insegnato a lungo linguistica e sanscrito presso l’Università di Lione III (1966-1998) ed è stato direttore degli studi di linguistica comparata all’École pratique des hautes études. Presso l’ateneo lionese Haudry ha fondato nel 1982 l’Istituto di Studi indoeuropei. In italiano è stata tradotta nel 2011 la sua opera più celebre Gli indoeuropei (Edizioni di Ar, pp. 216, € 22). Ecco il testo a sua firma pubblicato sul Primato Nazionale di marzo 2018. [IPN]

Gli indoeuropei non sono una popolazione preistorica, ovvero l’insieme degli abitanti di un sito definito dagli studiosi della preistoria nello spazio e nel tempo a partire da un «fossile guida»: nessun sito può essere attribuito loro con certezza. Solo gli antenati immediati di qualche popolo indoeuropeo storico possono essere definiti in questi termini: pensiamo, nel primo millennio a.C., alla cultura di la Tène e Hallstatt per i celti, alla cultura di Jatorf per i Germani o, nel secondo millennio a.C., alla cultura di Andronovo per gli indoiranici. Ma oltre non si può risalire.

Gli indoeuropei sono i parlanti dell’indoeuropeo ricostruito. Ma ciò che è stato ricostruito attraverso la comparazione delle lingue indoeuropee attestate non ha lo stato di una lingua unitaria: sono state ricostruite forme regolari che riflettono uno stato recente, ma anche forme irregolari che riflettono delle regolarità anteriori, dunque degli stati più antichi della lingua. Questi ondeggiamenti si estendono anche alla struttura stessa della grammatica: alcuni dati mostrano che l’indoeuropeo non è sempre stato una lingua flessiva. 

Chi erano?

In altre parole, ciò che sappiamo degli indoeuropei riposa su un insieme molto eterogeneo di dati, che possiamo riunire sotto la denominazione di «tradizione», usuale quando si tratta della cultura di altri popoli, ma insolito per quella degli indoeuropei. Questi dati sono:

– Il formulario ricostruito. Dalla metà del XIX secolo, è apparso chiaro che la ricostruzione non si limita al linguaggio, ma si estende al discorso: non si ricostruiscono solamente delle parole, ma dei gruppi di parole, molto spesso binarie, come «la gloria imperitura», messa in evidenza da Adalbert Kuhn nel 1853 a partire da una concordanza greco-indiana, ma talvolta delle frasi come «tu sei divenuto il padre degli Dei, pur essendo il loro figlio», che ho recentemente proposto di ricostruire e di attribuire al Fuoco divino1. Questo formulario ricostruito dà delle indicazioni certe sule preoccupazioni e i principi di coloro che l’hanno creato. Oggi ricostruiamo diverse centinaia di formule di questo genere, e i reperti si moltiplicano.

– Le concordanze nozionali. All’opposto della ricostruzione del formulario, che opera con il metodo abituale della ricostruzione linguistica, quella dei gruppi di nozioni, che tende a generalizzarsi, procede a partire dal senso e non a partire dalla forma. L’esempio più conosciuto è quello delle «tre funzioni», messo in evidenza da Georges Dumézil a partire dalle concordanze fattuali tra la «triade arcaica» romana di Giove, Marte e Quirino e la triade scandinava di Odino, Thor e Freyr, o ancora in racconti come quello sui primi quattro re di Roma, ma senza ricorrere a comparazione linguistica. L’esistenza di queste tre funzioni – la sovranità magico-religiosa, la guerra e tutto ciò che costituisce produzione e riproduzione – è attestato da un vasto insieme di dati, non riposa su alcuna concordanza formale: non sappiamo come essi venissero nominati in indoeuropeo, né se l’indoeuropeo avesse un termine per designare le funzioni. Un altro esempio è dato dalla triade dei colori che Dumézil proponeva di ricollegare a quella precedente, che è sicuramente più antica, come si vedrà. La triade pensiero, parola, azione2 è anch’essa essenzialmente nozionale, ma si osservano anche delle concordanze nell’espressione dei tre termini.

– Le concordanze fattuali. A questi due gruppi definiti si aggiunge un gran numero di concordanze che non coinvolgono la lingua, come le immagini, i simboli, le metafore, talvolta accompagnate dalla loro trasposizione iconografica; le omologie, in particolare quelle che esistono tra i cicli temporali; i proverbi, gli enigmi, i paradossi; i concetti, gli usi, le pratiche. Osserviamo anche delle concordanze nella simbolica dei numeri. Il tipo fisico ideale, quello dell’uomo di alta statura, biondo, con gli occhi azzurri, la pelle chiara, attestato da una grande mole di dati sia testuali che iconografici, è anch’esso un dato della tradizione: corrisponde a quello dell’aristocrazia indoeuropea e non si estendeva necessariamente all’insieme della popolazione.

– La tradizione si presenta sotto tre forme principali: la tradizione aristocratica, che corrisponde alla formula di Antoine Meillet: «L’indoeuropeo è una lingua di capi e organizzatori imposta dal prestigio di un’aristocrazia»3; la tradizione popolare, veicolata dal folclore, e il cui utilizzo è più delicato, poiché quasi non disponiamo di dati antichi; la tradizione segreta, onnipresente in India, e rappresentata in Grecia dai Misteri. La tradizione aristocratica è di gran lunga la più importante: l’essenziale del formulario ricostruito rappresenta le preoccupazioni, gli ideali e i valori dell’aristocrazia. Vale lo stesso per le tre funzioni, che si fondano su una visione gerarchica della società, e per la triade pensiero, parola e azione che illustra la superiorità di coloro che ragionano e ordinano su coloro che eseguono.

La civiltà dei “migliori”

Le caratteristiche principali che si possono attribuire alla tradizione aristocratica indoeuropea nel suo insieme sono: il realismo, diametralmente opposto all’irrealismo delle religioni universaliste che si indirizzano prioritariamente alle masse incolte o deculturate; l’autonomia del cerchio di appartenenza, che riguarda le due più antiche, «famiglia» (di tre generazioni) e «banda» (divenuta «clan» e poi «villaggio») o le altre due più recenti, la «grande famiglia» patrilineare e la tribù; la misura, espressa dall’adagio greco «niente di troppo» e la riprovazione della hybris, la «dismisura»; l’importanza dell’apparire, che prolunga l’essere; la tendenza ad ammettere la propria ignoranza di fronte all’inverificabile, mentre il dogmatismo monoteista pretende di avere una risposta per tutto e cerca di imporre tale risposta a tutti. Questi princìpi, di natura molto generale, sembrano valere per l’insieme delle tradizioni indoeuropee. Ma quando si passa dal quadro generale al contenuto, bisogna distinguere tre periodi principali.

L’epoca arcaica

Il periodo più antico, quello della «religione cosmica» e dell’habitat circumpolare. Non è un inizio assoluto: dato che anche l’indoeuropeo viene da uno dei dialetti di una lingua comune anteriore, il «nostratico», possiamo dire che gli indoeuropei ebbero degli antenati, ma, che si tratti di lingua o di cultura, non si può ricostruire all’infinito. Come hanno mostrato Krause4 e Tilak5, gli indoeuropei hanno avuto conoscenza della realtà climatica circumpolare, il che implica che abbiano vissuto in queste regioni o in loro prossimità. 

Questa idea è stata ripresa in particolar modo da Rosenberg6 ed Evola7. Essa era conosciuta nell’India vedica, a giudicare da un passaggio della Taittirîya samhitâ, (1.5.7.5): «Tu, dai multipli splendori, possa io attendere la tua fine in sicurezza». Quella dai «multipli splendori» è la notte. Un tempo, i brahamani temevano che l’aurora non tornasse più. Lo stesso accade nell’Iran mazdeo: «Se il Sole non sorge, allora i demoni distruggeranno tutte le sette parti del mondo» (Yasht 6,3).

È là che si costituisce, in seno a una popolazione animista che conosce solo «potenze» impersonali, il pantheon più antico, quello della «religione cosmica»8: *Dyews, il «Cielo diurno», e «Sole» (l’ittita dSius, il «dio Sole»), inizialmente femminile, e madre degli *deywôs, «gli dèi» ; un Cielo notturno, rappresentato ulteriormente dall’Uranos stellato omerico; un Cielo aurorale e crepuscolare, rappresentato allo stesso tempo da Cronos, il cui nome significa «cesura», e dalle Aurore, dette anche «Figlie del Sole». Venendo dopo la lunga notte invernale, le «Aurore dell’anno» portano luce e vita; sono loro ad aver donato il nome alla festa cristiana della Pasqua, in tedesco Ostern.

L’insieme include anche la dea Luna e i Gemelli divini, il cui ruolo principale è di «recuperare» l’Aurora scomparsa o fuggitiva. I tre cieli sono alla base dei tre colori: il bianco brillante per il Cielo diurno, il nero per il Cielo della notte, il rosso del Cielo aurorale e crepuscolare. 

A questo primo periodo della tradizione corrisponde una società paleolitica di predatori, cacciatori e pescatori, senza alcuna altra distinzione rispetto a quella di sesso ed età, e nella quale la madre è il centro della cellula familiare, dato che il ruolo del padre nel concepimento è sconosciuto. Da lì proviene la predominanza delle entità femminili nel pantheon corrispondente, in cui i soli personaggi maschili certi sono la dea Luna e i gemelli divini; questi ultimi devono una parte della loro mitologia ai gemelli umani, con i quali sono confusi.

Il Neolitico

Tutto cambia con il neolitico e la pratica congiunta dell’agricoltura e dell’allevamento, resa possibile dallo spostamento delle popolazioni verso regioni temperate, e l’instaurazione del patriarcato e della patrilinearità, che costituisce la base della società che corrisponde al secondo periodo della tradizione indoeuropea. 

È in questa nuova forma della società che appare la ripartizione della popolazione tra le «quattro cerchie dell’appartenenza sociale», la famiglia nucleare, il gruppo di famiglie, il lignaggio (per l’aristocrazia), la tribù, messa in evidenza da Benveniste9, e l’ideologia delle tre funzioni di Dumézil10. È qui che il Cielo diurno diventa l’unico cielo della cosmologia fissa, che comporta tre mondi sovrapposti e il «Cielo padre»: il Dyaus pitâ indiano, lo Zeus pater greco, lo Juppiter latino e i loro corrispondenti. Egli è il «padre degli dèi e degli uomini», ma solamente di quelli di lignaggio aristocratico.

A questo secondo periodo della tradizione risale anche la triade pensiero, parola, azione, che si fonda su una differenziazione delle attività diversa da quella per sesso ed età. Questo secondo periodo è il più importante e il meglio documentato. Si ha spesso la tendenza a considerarlo come «il periodo comune degli indoeuropei» e a ridurlo tacitamente a una sincronia. Ma a torto: vi sono delle evoluzioni. In ogni momento, la solidarietà più stretta è quella che unisce i membri della famiglia nucleare: lo si può osservate nelle intenzioni sacrificali dell’India brahamanica, dove il sacrificio non viene mai effettuato a favore di una comunità che superi quella della famiglia, ma per conto e a beneficio dell’individuo che augura per se stesso vittoria, ricchezza, discendenza, lunga vita, e anche del male per i suoi nemici. 

La solidarietà del villaggio clanico e quella del lignaggio sono durate fin tanto che si è mantenuto il loro carattere originale. Ma il villaggio ha cessato di raggruppare gli uomini dello stesso lignaggio, che si è mantenuto solo nell’aristocrazia, grazie ai genealogisti. La comparsa della città in Grecia e dello Stato a Roma ha ridotto l’importanza delle solidarietà di lignaggio e anche della solidarietà familiare, mentre esse rimanevano intatte nelle società contemporanee. Di questo parla la leggenda greca di Antigone: in Sofocle, l’eroina rappresenta l’attaccamento al lignaggio, mentre Creonte rappresenta gli interessi della città. È in questo periodo che nasce l’immagine del «corpo sociale», che prefigura la concezione organica della comunità.

L’immagine è alla base dell’inno 10,90 del Rigveda, secondo cui le caste sarebbero nate da parti del corpo del gigante primitivo detto Purusha, «Uomo». Essa è confermata dall’apologo romano di Menenio Agrippa. Ma se conosciamo l’immagine e il suo significato, l’applicazione originale resta incerta. L’apologo vale per Roma repubblicana, l’immagine vedica per la società indiana dell’epoca, ma che ne è delle epoche anteriori? La tribù è restata per molto tempo uno spazio conflittuale all’interno del quale i clan rivali erano in concorrenza, talvolta in conflitto. Ma il re che ne era il capo si sforzava di ristabilire pace e solidarietà.

Il periodo eroico

Contrariamente ai due periodi precedenti, la società eroica che definisce il terzo è una realtà in parte osservabile, descritta soprattutto da Chadwik11. Dal punto di vista cronologico, si situa tra preistoria e protostoria e vedremo come essa coinvolga solo una parte della società. Il fenomeno si manifesta nell’ambito religioso, con l’apparizione di un insieme di divinità il cui nome si fonda su un’astrazione, come il latino Fides, «buona fede», il cui culto consiste nel non offenderla. È a partire da lì che una radice che significa inizialmente «non offendere, rispettare», rappresentata dal greco haz-, ha preso in indo-iranico il senso di «sacrificare a», vedico yaj-, avestico yaz-, antico persiano yad-. Tale culto si indirizza a dèi come *Mitra, il cui nome significa «contratto d’amicizia» e che viene soddisfatto innanzitutto onorando i propri impegni; il sacrificio abituale viene dopo. Tale cambiamento si osserva anche nel germanico, dove l’antico nome del dio, *teiwa- <*deywo-, viene rimpiazzato con quello della libagione, *guda, «ciò che è versato»: «onorare le proprie libagioni» significa mantenere le promesse suggellate da tale rituale. 

Il cambiamento religioso rispecchia un cambiamento sociale: l’apparizione, in seno a società di lignaggio, di solidarietà elettive come la compagnia che riunisce attorno al signore degli uomini che non sono suoi parenti e che, in alcuni casi, possono provenire da clan rivali. Tale cambiamento sociale pone un serio problema alla precedente società di lignaggio, anche se essa non viene rimessa in discussione nel suo principio. Ma per essere fedele al suo signore, il membro della compagnia deve rompere i suoi legami con la famiglia, soprattutto se essa è a lui ostile.

La società eroica è il teatro di cambiamenti profondi nel dominio religioso. Mentre l’uomo della società di lignaggio onorava allo stesso tempo i suoi antenati e gli dèi nazionali, l’eroe se ne disinteressa per legarsi a una divinità d’elezione che lo protegge personalmente e trascura gli altri; egli diviene uno «spregiatore degli dèi», come Mezenzio nell’Eneide di Virgilio. Si disinteressa allo stesso tempo degli antenati e della discendenza, poiché per lui la sopravvivenza non si ottiene per la «via dei padri» che costituisce la discendenza, ma per la «via degli dèi», quella della «gloria imperitura». Non subisce il suo destino, come Edipo, ma lo sceglie, e queste scelte lo portano su una strada breve, ma gloriosa, che gli assicurerà questa forma di immortalità: è la scelta di Achille, quella di Cuchulainn, quella di Sigfrido. Il fenomeno della società eroica ha coinvolto i diversi popoli indoeuropeo, che hanno reagito diversamente. Roma l’ha rigettato, ma ne è stata segnata: si veda l’istituzione della clientela, che è inizialmente una sorta di compagnia.

L’origine attuale

Si comprende agevolmente perché l’espressione di «tradizione indoeuropea» sia accuratamente evitata, anche se i fatti la impongono. Il punto è che la tradizione non è un sapere morto e sepolto, ma una realtà vivente e attuale. È così che la intendono coloro che, a giusto titolo, sono fedeli alla tradizione che hanno ereditato e a cui si richiamano. Possiamo lasciar fuori dal dibattito coloro che, come la Chiesa cattolica conciliare, si sbarazzano delle proprie tradizioni: non è certo per onorare la nostra. Ma ci sono gli adepti degli altri monoteisti, che restano fedeli alle loro tradizioni, anche quando non ne praticano più i culti. Questa gente rifiuta la concorrenza di una «tradizione indoeuropea» comune alla maggior parte del mondo industrializzato e sviluppato, che gli uni cercano di controllare e gli altri di invadere. Costoro hanno al loro fianco i mondialisti e in particolare gli euro-mondialisti, che non si richiamano a una tradizione, ma incarnano semmai l’anti-tradizione. Insomma, abbiamo molti nemici. Ma, secondo le parole del cavaliere Georg von Frundsberg, «molti nemici, molto onore».

Jean Haudry

1 J. Haudry, Le Feu dans la tradition indo-européenne, Archè, Milano 2016, pp. 41-42.

2 J. Haudry, La triade pensée, parole, action dans la tradition indo-européenne, Archè, Milano 2009.

3 Introduction à l’étude comparative des langues indo-européennes, Hachette, Paris 1937, p. 47.

4 E. Krause, Tuisko-Land der arischen Stämme und Götter Urheimat, Carl Fleming, Glogau 1891; Die Trojaburgen Nordeuropas, Carl Fleming, Glogau 1893; Die nordische Herkunft der Trojasage bezeugt durch den Krug von Tragliatella, Carl Fleming, Glogau 1893.

5 L. B. G. Tilak, The Orion. Researches into the Antiquity of the Vedas, Sagoon, Bombay 1893; The Arctic Home in the Vedas, The Managar, Poona 1903.

6 A. Rosenberg, Der Mythus des 20. Jahrhunderts, Hoheneichen, München 1930, 1,1.

7 J. Evola, Rivolta contra il mondo moderno, Hoepli, Milano 1934, 2,3.

8 J. Haudry, La religion cosmique des Indo-Européens, Archè, Milano 1987.

9 E. Benveniste, Le vocabulaire des institutions indo-européennes, 2 voll., Minuit, Paris 1969, vol. I, p. 293 ss.

10 G. Dumézil, La préhistoire indo-iranienne des castes, «Journal asiatique», 216 (1930), pp. 109-130.

11 H. M. Chadwick, The heroic age, CUP, Cambridge 1912.

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