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Visioni dell’abisso. Ricordando Lovecraft

by La Redazione
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lovecraftRoma, 11 ago – Il 20 agosto 1890 nasceva a Providence Howard Phillips Lovecraft, e si potrebbe anche terminare qui.

Qualsiasi cosa si dica sul geniale creatore dei terribili Miti di Chtuluh non è mai abbastanza. La vastità dell’opera lovecraftiana è a tutt’oggi oggetto di studio e venerazione e l’uscita dai meandri della sua travolgente fantasia appare ben lontana. Il suo è un mondo attanagliato da un orrore impalpabile, eterno e invisibile. L’orrore cosmico.

Le vie cittadine perdono la loro rassicurante familiarità per trasformarsi in canali di perdizione e terrore, dove creature dalle fattezze grottesche osservano e gorgogliano. Non esistono facili vie di fuga. Dalla profonda notte cosmica non si esce vivi e se si fa ritorno nel mondo degli uomini ci si sentirà per sempre dei sopravvissuti, dei segnati.

La mano di Lovecraft costruisce dimensioni che gradualmente e inesorabilmente trascinano l’uomo in altre realtà, dove la logica si spezza e la razionalità non ha più alcun significato. La presunzione umana viene punita. L’autore vuole purificare l’essere umano da se stesso provocando un collasso di tutte le barriere sensoriali ed emotive; esistono altri mondi di là da questo e lui vuole rivelarne i tratti sconvolgenti, fin dove possibile. «Dobbiamo ricordare sempre che lo spazio non ha confini, che abissi illimitati si estendono senza fine oltre la nostra vista e la nostra comprensione, forse oltre la regione apparentemente infinita dell’etere lumini fero, e fuori dal controllo delle leggi del moto e della gravità» (Tempo e spazio, in Tutti i racconti, N&C) .

Il solitario di Providence si affidò spesso alle sue visioni oniriche, attribuendo alla dimensione del sogno una non inferiore realtà di quella mondana. Anzi, superate le barriere della percezione corporea, è possibile accedere a mondi straordinari e terribili, di cui si è perduta conoscenza. L’ impresa raccontata ne Il guardiano dei sogni è una delle più complesse e articolate vicende raccontate dall’Autore, in cui vi condensa temi esoterici (la salita della montagna e il riconoscimento di sé, la discesa nelle viscere della terra…) e mitologici appartenenti al suo pantheon abominevole.

Lovecraft è stato un innovatore del genere fantastico e orrorifico, introducendo tematiche e un linguaggio prima di allora sconosciuti. Il suo pessimismo e il suo disprezzo per le cose umane emergono con insistenza, così come una sorta di sottile nostalgia per l’ormai perduta America puritana ed europea. Lui che oggi saprebbe scrivere pagine di puro terrore e straniamento alla visione dei termitai umani chiamati centri commerciali o che saprebbe associare angosce impensabili alla colonizzazione demografica dell’Europa da parte di moltitudini di disperati; questo gigante della letteratura e del pensiero restò per tutta la vita un severo conservatore capace però di innovare la narrativa a tal punto da essere ad oggi ineguagliato.

Estraneo al suo tempo, Lovecraft sarebbe oggi un nemico della mondo contemporaneo, uno dei suoi più accaniti e convinti avversari. La sua visione del mondo lo colloca nell’abisso dei proscritti, la sua misoginia lo rende oggi un ospite sgradito nei salotti della narrativa fantastica che parla francese e nel taschino tiene la tesserina di partito. Fiumi d’inchiostro potrebbero essere spesi sul ruolo delle donne nella sua opera: pressoché assenti in ruoli positivi e attivi, quando compaiono o sono del tutto marginali o svolgono un ruolo estremamente negativo e distorto.

Lovecraft è stato ed è ancora oggi una voce straordinaria e inattuale, onesta e coraggiosa. Visionario e duro ha saputo demolire il falso mito della centralità dell’uomo e della sua potenza assoluta, dando vita a un cosmo dove divinità cieche e spietate manipolano a loro piacimento questo fragile involucro di pelle e sangue.

È in questa prospettiva che va ancor più apprezzato lo straordinario lavoro di traduzione fatto un paio di anni fa da Sergio Altieri per l’antologia Il dominatore delle tenebre (Feltrinelli, 13€), dove i racconti del solitario di Providence acquistano nuova forza e impatto grazie a un lavoro di resa che ne potenzia e impreziosisce il linguaggio.

Nel corso degli anni il fumetto e il cinema hanno tributato il loro debito allo scrittore di Providence, con risultati talvolta discutibili. In particolare il mondo del cinema ha affrontato in modi più o meno riusciti l’opera di Lovecraft e nel recente saggio di Antonio Tentori H. P. Lovecraft e il cinema (Profondo Rosso ed., 24,90 €) vengono catalogati e analizzati i molti film e telefilm tratti o ispirati dai suoi racconti. Nonostante vi siano pellicole che tentano di mantenersi fedeli agli originali, le opere del regista John Carpenter restano ad oggi le sole capaci di replicare efficacemente l’atmosfera straniante e angosciosa dei racconti dello scrittore americano.

Qualcuno ha sostenuto, forse non a torto, che è impossibile riversare su schermo il terrore lovecraftiano senza tradirlo e depotenziarlo. D’altronde l’orrore a cui punta Lovecraft è la paura dell’ignoto, un qualcosa che solo la parola stampata e le sue suggestioni può ricreare in modo efficace. Ciononostante film come La cosa, Il signore del male e Il seme della follia mostrano come sia possibile rielaborare sapientemente la lezione del grande scrittore.

La leggenda di HPL vive e la sua opera, come sostiene Gianfranco De Turris, traccia un solco decisivo nella narrativa fantastica, un prima e un dopo. A dimostrazione che sono sempre gli anticonformisti a cambiare le cose, a tracciare la via. E a durare nel tempo.

 Francesco Boco

 

 

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