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Coronavirus: ecco quanti miliardi servono per non affossare l’economia

by Filippo Burla
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Roma, 10 mar – Se potevamo considerarci destinati ad una più che probabile recessione, con l’esplodere anche in Italia dell’epidemia di coronavirus e il varo delle conseguenti misure restrittive la faccenda si complica non poco. Gettando ombre scure su un quadro già a tinte più che fosche.

Coronavirus: i numeri della recessione

Le prime stime parlano di una contrazione che, dal +0,5% previsto fino a poche settimane fa, fa scivolare il Pil in territorio negativo: -0,5% la previsione di Moody’s, che diventa -0,7% qualora l’impatto dell’epidemia dovesse risultare più prolungato. La stima risale però a venerdì scorso, quando ancora la cosiddetta “zona rossa” non era stata prima allargata a Lombardia e altre 14 provincie – le quali comprendevano buona parte del cuore produttivo nazionale – per venire infine estesa di fatto a tutta Italia.

Più pessimista di Moody’s l’istituto Ref Ricerche, che già ad inizio marzo pronosticava un calo del prodotto interno lordo pari tra l’1 ed il 3% nei primi due trimestri dell’anno. Anche qui, però, occorre considerare che la “stretta” del governo non si era ancora fatta sentire.

Lo studio più aggiornato è quello condotto dal Centro studi Unimpresa lo scorso 8 marzo: “Gli effetti del Coronavirus – si legge – possono creare danni su 150 miliardi di euro di prodotto interno lordo ovvero quasi il 10% dell’economia italiana: si tratta di 64 miliardi del settore alberghiero e ristorazione, 53 miliardi del trasporto, oltre 8 miliardi del comparto noleggio e leasing, 2 miliardi riferibili alle agenzie di viaggio e ai tour operator, quasi 11 miliardi riconducibili a musei, cinema e teatri, oltre 7 miliardi del settore sport e tempo libero”. Il conto finale rischia di essere salatissimo: a rischio, secondo l’associazione, sarebbero almeno 45 miliardi (oltre il 2,5% del Pil) e i settori più esposti “vanno dal turismo ai trasporti, dagli spettacoli allo sport”.

Quali contromisure?

Di fronte a numeri così allarmanti, suonano quasi surreali i 6,5 miliardi che il governo ha richiesto all’Ue (senza ottenere, per il momento, alcuna risposta certa) in termini di flessibilità sui conti pubblici. Parliamo di un misero 0,3% di scostamento sul deficit programmato per quest’anno (da 2,2 a 2,5%): un’iniezione del tutto insufficiente a mitigare gli effetti che il coronavirus produrrà a cascata sull’economia. Nemmeno servirà alzare leggermente l’asticella a 7,5 o una manciata di miliardi in più, come il premier Giuseppe Conte ha fatto trapelare nel corso della conferenza stampa di ieri sera.

Le misure allo studio, d’altronde, rischiano di sembrare il classico pannicello caldo, utile a contrastare alcuni effetti negativi ma incapace di affrontare i problemi alla radice. Qui i problemi non sono solo – come ha fatto notare Massimo D’Antoni, professore di scienza delle finanze all’Università degli studi di Siena – dal lato della domanda, ma anche dell’offerta: “La finalità non è tanto far ripartire l’economia con politiche di domanda: in queste condizioni non può ripartire. Si tratta di consentire alle imprese di non chiudere”.

Servono almeno 45 miliardi

Le cifre in gioco, per poter offrire sensibili effetti, devono dunque essere necessariamente superiori rispetto a quelle sin qui circolate. Ed insistere su un ventaglio di soluzioni che non riguardino solo il sostegno diretto e indiretto dei redditi, ad esempio tramite il potenziamento della cassa integrazione, i voucher per le baby sitter o i congedi per stare a casa con i figli, ma tocchino aspetti di più larga portata. Si pensi, sempre a titolo di esempio, al nodo del cuneo fiscale sul lavoro che trascina al ribasso la competitività delle nostre aziende: ridurlo di un punto costa tra i 2 e i 3 miliardi di euro. Cogliendo l’opportunità – absit iniuria verbis – dell’emergenza si potrebbe ragionare di abbatterlo di almeno il 10%, così come non è illecito pensare di introdurre – proposta da 15 miliardi che ha fatto di recente CasaPound Italiaun bonus che incentivi la domanda (interna) di turismo, ad oggi il settore probabilmente più colpito. Fanno in totale 45 miliardi, sufficienti a contrastare il ribasso che si attende Unimpresa. Significano 2,5 punti di deficit aggiuntivo, che farebbero lievitare il totale a quasi il 5%? Di fronte ad una più che prevedibile crisi in arrivo politiche di questo tipo dovrebbero essere la normalità. Senza chiedere alcun permesso a Bruxelles.

Filippo Burla

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Pandemic bond: la finanza al cospetto del coronavirus | Il Primato Nazionale 16 Marzo 2020 - 9:10

[…] Da almeno due anni molti analisti sostengono che la maggior parte dei prezzi delle azioni siano sovrastimati e dopati da anni di bassi tassi di interesse e di Quantitative Easing. Quindi in molti si aspettavano il tonfo delle Borse. Sicuramente il Covid-19 ha contributo a danneggiare l’economia mondiale. Qualche big della finanza sta traendo beneficio da queste moderna pestilenza ma non possiamo considerarlo l’untore del terzo millennio. Sin dal 2017 si sapeva che il coronavirus fosse un’evenienza assai probabile, e per la quale occorreva predisporre piani di emergenza. Purtroppo nessun politico ha predisposto strumenti adeguati per fronteggiare la pandemia. Il vuoto pneumatico lasciato da chi è stato eletto per governarci è stato riempito dai burocrati del mondialismo. I danni per la nostra economia sono al momento elevatissimi. È necessaria l’immissione di tanta liquidità per favorire la ripresa. […]

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