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Debito globale: una bolla gigantesca pronta a scoppiare?

by Francesco Meneguzzo
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debt+Pil

Debito e prodotto interno lordo globali: confronto tra 1994 e 2014

Roma, 1 gen – Il nuovo anno sarà un banco di prova più unico che raro: mai nella storia finanziaria moderna, infatti, è stato accumulata una quantità tanto gigantesca di debito in rapporto alla ricchezza reale, cioè al prodotto interno lordo (Pil).

Mentre nel 1994, infatti, il debito globale ammontava appena al 140% del Pil, nel 2014 lo stesso rapporto era salito al 560%, portandosi all’astronomica somma di 225 trilioni di dollari a fronte di un Pil attestatosi intorno a 78 trilioni. La stessa tendenza è proseguita, sebbene probabilmente in tono minore, nel 2015.

La divergenza, nello stesso ventennio, tra la crescita del debito (+9% di incremento composto annuale) rispetto al Pil (+5,3%) è abbastanza rappresentativa dell’immane schema-ponzi messo in opera per sostenere una crescita che si credeva e voleva infinita e che invece si è scontrata con i limiti delle risorse, primo tra tutti il solito petrolio i cui costi di estrazione hanno subito un’impennata finora inarrestabile a partire dal 2000.

Nessuno schema-ponzi dura per sempre, anche se fare previsioni precise sarebbe quanto mai azzardato, sebbene qualche indicazione sia stata data proprio su queste colonne.

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Investimenti industriali nell’esplorazione ed estrazione di petrolio e gas naturale dal 2005

Nel frattempo, l’inefficienza nell’allocazione dei capitali sia sul versante della domanda di materie prime (commodities) sia su quello degli investimenti pubblici e privati ha raggiunto livelli sovietici, in particolare – semplificando un po’ – col risultato di scavare un abisso tra l’offerta e la domanda. Un esempio eclatante è stato l’incredibile incremento degli investimenti di capitale nell’estrazione di petrolio e gas naturale, passati da 250 miliardi di dollari nel 2005 a 700 miliardi nel 2014, col risultato di un aumento delle rispettive produzioni costituito per la gran parte da segmenti caratterizzati da alti costi di estrazione, aumento che a sua volta si è scontrato con l’incapacità della domanda di reggere il passo, cioè di sopportare i prezzi altissimi necessari a far quadrare i bilanci.

Conclusione: fin dagli ultimi mesi del 2014 sono collassati i prezzi, nel 2015 questi investimenti sono crollati del 20%, e l’occupazione del settore ha subito un bagno di sangue con centinaia di migliaia di licenziamenti.

Lo stesso dicasi per il settore delle esplorazioni ed estrazioni minerarie non energetiche, i cui investimenti sono cresciuti di sei volte dal 2004 al 2013, per contrarsi successivamente di oltre il 25% a fronte del calo della domanda, soprattutto dalla Cina e da altre economie emergenti.

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Investimenti industriali nell’esplorazione ed estrazione di altre risorse minerarie e nella manifattura, dal 2004 a oggi

Il cerino più acceso sta per il momento nelle mani dei produttori di materie prime, nessuno escluso e Arabia Saudita in testa, così come gli altri paesi del Golfo, l’Australia, e – per rimanere in Europa – la stessa Norvegia comincia a sentire i primi acuti dolori. Con un denominatore comune: i fondi sovrani dei paesi produttori ed esportatori di materie prime, gonfiati dall’oceano di liquidità, sia direttamente sia indirettamente per mezzo dello stimolo artificiale alla domanda – si stanno avviando a una pericolosa fase di liquidazione finalizzata a compensare i mancati introiti delle esportazioni tradizionali, che minaccia di travolgere con un effetto a cascata tutti i mercati finanziari, inclusi quelli europei. Tra i quali i valori azionari dei titoli quotati sulla borsa italiana, che nel 2015 hanno fatto segnare un record sia di crescita che di capitalizzazione complessiva.

Sommando a tutto questo la cronica diminuzione dei posti di lavoro più qualificati e conseguentemente delle retribuzioni, che rinforza la depressione della domanda, e la stagnazione del commercio mondiale ai livelli più bassi dell’ultimo trentennio, non è affatto scontato che in questo nuovo anno una ulteriore probabile recessione non possa assumere dimensioni assai superiori a quella del 2008-2009.

Di fronte a questo scenario, l’Europa si trova praticamente disarmata, sebbene finora abbia più o meno galleggiato con l’eccezione della Grecia e in parte del Portogallo, sia sul versante delle banche centrali – che con la politica degli interessi zero e le altre misure monetarie espansive hanno esaurito le armi a propria disposizione – sia su quello delle politiche industriali, che non hanno saputo approfittare prima dell’amplissima liquidità disponibile, quindi del beneficio temporaneo dei bassi prezzi delle materie prime.

Francesco Meneguzzo

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Massimo 1 Gennaio 2016 - 11:51

Corsi e ricorsi storici basta chiedersi chi sono i creditori , se esiste un debito ci sarà pure un credito , o no ?
Se in passato si poteva comprare letteralmente una regione territoriale o un isola con tutto quello concerne , basta ricordarsi del piano Seward 1867 , per l Italia basta evidenziare il 1861 , trovo inutile ricordare che un vero statista deve conoscere bene la storia ,prima di fare chiacchiere in TV o alle riunioni di partito .

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