Roma, 4 apr – Il primo aprile Eni e le organizzazioni sindacali di categoria hanno sottoscritto presso il ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali il contratto di espansione (introdotto nel 2019 dal decreto Crescita e prorogato con la Legge di Bilancio 2021). Con questa mossa, l’Ente nazionale idrocarburi punta a rilanciare“il ricambio generazionale attraverso l’implementazione di azioni volte a creare maggiore occupazione, con l’introduzione di nuove competenze e nuovi mestieri da acquisire dal mercato del lavoro”.
Eni: il contratto di espansione e i dettagli dell’accordo
Ciò che è avvenuto giovedì scorso, però, non si comprende se non si analizza la ratio del contratto di espansione Eni in presenza di una riorganizzazione aziendale. Si tratta di una misura (voluta dal governo giallo-verde e in particolare dall’allora sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon) che favorisce l’assunzione di nuove professionalità a fronte di uscite anticipate. Le modifiche introdotte di recente hanno modificato parzialmente quest’istituto. Se prima ne potevano usufruire imprese con almeno mille dipendenti, ora quest’ammortizzatore sociale può essere utilizzato anche imprese con 500 lavoratori.
La società guidata da Claudio De Scalzi non ha perso l’occasione. Eni (come già aveva fatto Tim) si è impegnata ad adottare questo strumento per introdurre nuove competenze assumendo 500 persone già nel 2021. L’intesa prevede nel contempo l’adesione volontaria per l’accompagnamento alla pensione per un numero massimo di 900 risorse che matureranno, nel periodo di vigenza dell’accordo stesso, il requisito di accesso alla pensione entro i successivi 60 mesi. Non si tratta però di un semplice do ut des. C’è infatti un altro tema che non può essere tralasciato: la formazione.
Formazione è partecipazione
Eni è sempre stata un’azienda all’avanguardia. Di conseguenza, il colosso di San Donato Milanese non si lascerà sorprendere dalla marcia di profonda trasformazione finalizzata alla transizione energetica. Infatti, l’Ente nazionale idrocarburi si prepara alla completa decarbonizzazione di processi industriali e prodotti. Non sono indiscrezioni, ma è quello che si legge sul sito ufficiale dell’azienda. Certo, non è un processo che si attuerà in tempi brevi ma alcune traiettorie sembrano ormai tracciate. Per questo è inevitabile l’accesso di nuove professionalità e la riqualificazione del suo personale. La multinazionale italiana prevede che: “La formazione riguarderà circa 20 mila risorse (per un totale di circa un milione di ore/anno) ed accompagnerà il percorso di trasformazione aziendale in corso valorizzando le professionalità esistenti e sviluppando le nuove. I programmi saranno erogati con il supporto di Eni Corporate University”.
Questo processo non può calare dall’alto è necessario un pieno coinvolgimento dei lavoratori senza stravolgere la contrattazione collettiva. Infatti, per favorire una nuova forma di partecipazione dei lavoratori lo scorso dicembre era stato sottoscritto il protocollo Insieme. Un’intesa in cui era specificato il legame tra formazione continua (oggi sempre più indispensabile) e la partecipazione. Per rendere operativa quest’ultima era prevista la creazione di “un comitato strategico con composizione paritetica tre rappresentanti aziendali e tre rappresentanti sindacali della segreteria nazionale”. Dunque, i semi che hanno fatto germogliare l’accordo sul contratto di espansione Eni sono stati piantati a dicembre.
L’unanime approvazione dei sindacati
Infine, è bene ricordare che i sindacati hanno apprezzato all’unanimità quanto è stato sottoscritto giovedì scorso. Questo non dovrebbe stupirci. Non tanto perché l’azienda ha deciso di assumere 200 lavoratori in più rispetto ai trecento previsti, ma per un altro motivo. Se, infatti, la dirigenza decide di investire sui suoi dipendenti promuove l’internalizzazione rispetto alle politiche di esternalizzazione che tanto vanno di moda negli ultimi decenni. Forse nel breve periodo formare i dipendenti è più costoso (anche se i conti del colosso italiano hanno retto bene anche durate la pandemia) ma sono soldi spesi bene: nel lungo periodo è la qualità che fa la differenza. E questo a San Donato Milanese l’hanno capito bene.
In fondo, le partecipate di Stato fanno ancora la differenza in termini di profitti, innovazione tecnologica e tutela dei lavoratori. Con buona pace di chi si ostina a definirli carrozzoni di stato.
Salvatore Recupero