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Evergrande, una crisi tra sgonfiamento controllato e rischio “contagio”

by Filippo Burla
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Evergrande, crisi

Roma, 22 set – Persino Fabio Cannavaro rischia il posto. Il capitano della nazionale campione del mondo 2006 oggi allena la squadra di calcio di Guangzhou, l’undici più titolato del campionato cinese (8 vittorie negli ultimi 12 anni) grazie alla dote finanziaria assicurata dal gruppo Evergrande, che proprio a Canton ha la sua sede principale: in momenti di tensione di cassa, le prime spese a saltare sono quelle legate al superfluo.

E’ forse il primo, vero grande rischio “crac” in un’economia, quella del fu celeste impero, capace negli ultimi 30 anni di inanellare una serie di risultati a dir poco straordinari. Valga su tutti il Pil reale, cresciuto di quasi sei volte. Un andamento impetuoso, trascinato dal dirigismo degli alti papaveri di Pechino. La versione contemporanea del “socialismo con caratteristiche cinesi”, con al centro il mercato ma sotto l’occhio (più che) attento dello Stato.

Evergrande: lo sgonfiamento (controllato?) di una bolla

Proprio la stretta regolamentazione pubblica potrebbe essere alla base delle difficoltà di Evergrande. Parliamo di un colosso dell’immobiliare, settore che negli ultimi periodi sta sperimentando un discreto giro di vite. “Le case sono costruite per essere abitate, non per speculazione” ebbe a dire Xi Jinping nel 2019. Obiettivo sgonfiare la bolla che si era creata e che minacciava la stabilità del sistema.

Vero che oltre 300 miliardi di debiti non sono una bazzeccola. Vero anche che Evergrande ha appena annunciato che domani pagherà 35,9 milioni di cedole su alcune obbligazioni (quelle emesse entro i confini nazionali, per le altre si vedrà) in scadenza. Scongiurando così, temporaneamente e almeno dal punto di vista interno, lo spettro dell’imminente default. La Cina sembra capace di assorbire uno choc che non nasce da spericolate avventure finanziarie, nonostante lo schema Ponzi messo in piedi – Evergrande raccoglieva sempre nuova liquidità per corrispondere i vecchi interessi, ma anche per liquidare i fornitori – bensì trae origine da un’operazione controllata per depotenziare la bolla di cui si è detto.

Da qui all’escludere il rischio contagio, tuttavia, ce ne passa. Tanto più che Evergrande non sembra godere in patria della nomea di “too big to fail” che nel 2008 aprì la strada al sostegno quasi indiscriminato da parte pubblica delle più grandi banche americane ed europee. Il gruppo, insomma, potrebbe essere la vittima sacrificale scelta dal Partito Comunista. Così come accaduto nel 2007: era il 15 settembre quando Lehman Brothers venne fatta fallire. E sempre il 15 settembre, ma di quest’anno, è il giorno in cui la crisi Evergrande si è palesata. Per ora è solo una coincidenza di date.

Filippo Burla

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1 commento

fabio crociato 24 Settembre 2021 - 12:52

Parano il colpo… tutta la squadra finanziaria è spostata lì. Chi se ne fotte dei vecchi gusci ? Possono andare a morì ammazzati così fertilizzano per il riciclo capitalistico: politica-economia e rifinanza.

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