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L’industria nel fascismo: ecco come si costruirono le basi del “miracolo italiano” (1)

by Giuseppe Maneggio
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Roma, 25 nov – Quando si parla delle opere del fascismo si pensa sempre agli edifici pubblici e all’architettura che ancora oggi è sotto i nostri occhi in gran parte delle città italiane, oppure alle sue imprese in campo sociale rivendicate a buon ragione di fronte alla spinta disgregatrice del neo liberismo capitalista. Ma che risultati ottenne in campo industriale il Ventennio? Se capitalismo e comunismo sono due dottrine di stampo prettamente economico con risvolti sociali e politici, il fascismo si distinse per una nuova visione dell’esistenza stessa dell’uomo permeata su una spiritualità collettiva che univa gli individui all’interno dello Stato. L’iniziativa privata aveva un suo senso nell’alveo dell’interesse nazionale. Ecco come allora l’industria italiana di quel tempo edificò le basi per il boom economico dei primi anni ’60 e i mirabolanti anni ’80.

Agli inizi del ‘900 l’Italia era essenzialmente una nazione rurale con una buona presenza industriale soltanto nel settentrione. Le misure protezionistiche attuate dai governi liberali di età giolittiana avevano permesso lo sviluppo nel cosiddetto “triangolo industriale” Milano – Genova – Torino, dove si svilupparono la metallurgia, l’industria metalmeccanica e chimica e quella automobilistica.

Con l’avvento del fascismo, se nel campo agrario si ebbero notevoli impulsi benefici grazie alle opere di bonifica dei terreni e alle politiche attuative nei confronti dell’espropriazione dei grandi latifondi e della sbracciantizzazione, il comparto industriale ebbe una forte spinta allo sviluppo e numerose furono le aziende in ascesa tanto da poter competere sul piano internazionale.

industria fascismo snia viscosaNel comparto della chimica e nella lavorazione della gomma va menzionata la Snia Viscosa di Torino. Fondata nel 1917 acquisì una dimensione nazionale assorbendo la Società Viscosa di Pavia e l’Italiana Fabbriche Viscosa di Venaria Reale nel 1920. Nel 1922 venne quotata alla Borsa di Milano e nel 1925 fu la prima azienda italiana con un capitale sociale pari ad un miliardo di lire. La produzione di fibra artificiale da cellulosa detta seta artificiale o rayon raggiunse negli anni 20′ traguardi di tutto rispetto, era seconda solo a quella degli Usa. Nella metà degli anni venti, la Snia Viscosa occupava circa 20 mila persone in quattro grandi stabilimenti. Nel 1925 fu la prima società italiana ad essere quotata in una borsa estera (prima Londra e poi Wall Street). L’80% della produzione era destinato all’esportazione. Esportazione che a seguito delle sanzioni ricevute dell’Italia si arrestarono costringendo la Snia Viscosa a rivolgersi al mercato interno con la commercializzazione della Lanital, una fibra autarchica tratta dalla caseina, la proteina del latte. Dopo il Secondo conflitto mondiale, l’azienda entrerà a far parte del grande gruppo Montedison. Negli anni ’90 la profonda crisi del comparto chimico italiano mal gestito e smembrato portarono la storica azienda ad un periodo di profonda crisi che ancora oggi si protrae con un amministrazione controllata per causa di insolvenza.

Sempre nel comparto della chimica e lavorazione di materie plastiche annoveriamo la presenza della Società Anonima Orsi Mangelli – Saom di Forlì che nel 1926 fece partire la produzione di seta artificiale grazie anche al contributo del Duce che aveva voluto e inaugurato la nuova stazione ferroviaria di Forlì nei cui pressi si insediarono gli stabilimenti dell’azienda. A Milano nel 1929 vennero inaugurati i primi stabilimenti per la produzione di cellophane. Dopo la guerra, come molte aziende, anche la Saom ebbe salve le macchine che permisero una rapida ripresa della produzione. Con buona fortuna la vita della società contribuì al miracolo economico di fine anni ’50 inizi ’60. Nel 1976 la famiglia Orsi Mangelli cedette l’azienda che nel giro di un anno cadde in disgrazia tanto da dichiarare il fallimento l’anno successivo.

Altra azienda molto attiva nel settore dei coloranti sintetici e degli esplosivi fu la Sipe fondata nel 1891 a Milano. Fu con la prima guerra mondiale che l’azienda cominciò a crescere con la produzione di polvere da sparo per proiettili e mine che vennero fornite all’Esercito italiano. Durante il fascismo, nel 1925, la produzione verrà integrata con Società di Coloranti Italica di Rho e di Cesano Maderno ampliando la produzione di coloranti e vernici per l’industria tessile arrivando a coprire la quasi totalità del fabbisogno nazionale. Non verrà comunque abbandonata la produzione di esplosivi che serviranno per la guerra in Abissinia. Con la seconda guerra mondiale inizia anche la produzione di mine navali. La Sipe rimase in vita anche dopo il conflitto entrando a far parte del gruppo societario di Snia Viscosa. Nel 1992 lo stabilimento di Spilamberto venne acquistato dai francesi della Société Nationale des Poudres et Explosifs che disporranno la fine della produzione industriale italiana nel 1995 trasferendo tutta l’attività in Repubblica Ceca.

Tra i colossi della chimica italiana non va assolutamente dimenticata la Montecatini – Società Generale per l’Industria Mineraria e Chimica. Nata nel 1888, giunse alla quotazione in Borsa nel 1900. Durante il fascismo grazie alle geniali intuizioni di Giacomo Fauser, ingegnere chimico novarese, giunse alla produzione di massa di ammoniaca a basso costo con un processo che permetteva di estrarre l’azoto dall’atmosfera al posto della più dispendiosa lavorazione dagli escrementi animali. Negli anni ’30 la Montecatini inaugurò impianti su larga scala e puntando molto sulla ricerca e sull’alto grado di preparazione dei tecnici e ingegneri che facevano parte dell’azienda, si cimentò con successo nella produzione di coloranti, gas liquefatti, oli lubrificanti e nylon. Alla fine degli anni ’30 contava circa 50 mila dipendenti e i settori di competenza spaziavano da quello minerario, a quello metallurgico, passando per la farmaceutica, ai coloranti, agli esplosivi, alle fibre sintetiche, alle materie plastiche fino ad arrivare ai fertilizzanti. Dopo la guerra, nel 1966, la Montecatini si fuse con la Edison dando vita alla Montedison che svuotò la sua attività nel campo della chimica negli anni ’90 divenendo di fatto una holding dalle complesse architetture societarie dove per anni banchettarono politici e finanzieri.

Nel settore della farmaceutica i nomi più illustri erano la Carlo Erba di Vigevano e la Schiapparelli di Torino. La prima negli anni ’40 ebbe una produzione che spaziava dall’originario campo farmaceutico al settore alimentare fino a strumenti scientifici, e contava vari stabilimenti, mentre la Società Anonima Stabilimenti Chimici Farmaceutici Riuniti Schiapparelli nel 1935 avviò lo stabilimento di Torino al cui interno lavoravano circa 400 dipendenti. Nel nuovo complesso, oltre al reparto farmaceutico, erano attivi anche i settori galenico, alcaloidi e prodotti puri. Come altre eccellenze italiane dell’epoca, anche la Schiapparelli cessò l’attività negli anni ’90. L’epilogo ebbe inizio nel 1985 allorquando l’azienda si associò con il colosso statunitense Searie. Il trasferimento della produzione fu il primo segnale che poi portò alla chiusura dello stabilimento di Torino nel 1998.

agip industria fascismoIl petrolio cominciò in quegli anni ad assumere importanza sempre maggiore e il fascismo, comprendendo bene l’evoluzione dei tempi, non si fece trovare impreparato. Fu lo stesso Mussolini a volere un’azienda statale che si occupasse di petrolio e derivati. Nacque così nel 1926 l’Agip – Azienda Generale Italiana Petroli che investì non solo in Italia, ma anche in Romania. In Sicilia le ricerche furono fruttifere così come nella zona della Val Padana che a sorpresa portarono alla scoperta non di petrolio, ma di gas metano. L’Agip disponeva di un impianto di raffinazione a Fiume e rileverà sul finire degli anni ’30 anche quello di Marghera. Successivamente, per sostenere le campagne coloniali, l’Agip dovette rinunciare a proseguire alcuni investimenti in Iran, mentre nel 1939 l’esploratore Ardito Desio riuscì a trovare in Libia il petrolio. Nacque così l’operazione “Petrolibia” che vide Agip e Fiat associate. Dopo il conflitto mondiale l’Agip fu commissariata e nel 1953 fu assorbita dall’Eni per diventarne la divisione esplorazione e produzione.

La Pirelli, nel settore dei pneumatici e dei cavi in gomma era la leader nazionale. L’azienda milanese aveva già le dimensioni di una multinazionale con stabilimenti produttivi in Spagna, Svizzera e Albania. Fu una delle prime società ad essere quotate alla Borsa di Milano e la prima in assoluto a sbarcare sul listino di Wall Street.

(continua nella seconda parte)

Giuseppe Maneggio

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3 comments

Montani marco 25 Novembre 2017 - 6:16

anche se ne seguirà un altro, porgo i miei complimenti per il bell ‘articolo.

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Stefano 26 Novembre 2017 - 7:26

L’azienda forlivese in realtà si chiamava OMSA Orsi Mangelli Società Anonima, diventata poi famosa per la produzione di calze (ricordate la pubblicità “OMSA che gambe!”?). Complimenti per il bell’articolo.

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L'industria nel fascismo: ecco come si costruirono le basi del “miracolo italiano” (2) 26 Novembre 2017 - 10:58

[…] L’industria nel fascismo: ecco come si costruirono le basi del “miracolo… […]

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