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Sempre più precari: cresce il lavoro a chiamata, meno contratti stabili

by Salvatore Recupero
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Roma, 23 feb – Nel 2017 il lavoro a chiamata è cresciuto del 120%.  Questo è quanto possiamo leggere nel rapporto dell’Osservatorio sul precariato dell’Inps (Gennaio-Dicembre 2017), relativo ai lavoratori dipendenti del settore privato. Il lavoro a chiamata o intermittente è un contratto subordinato, anche a tempo determinato, con il quale un lavoratore si pone a disposizione di un datore di lavoro che ne può utilizzare la prestazione lavorativa in modo discontinuo, anche con riferimento alla possibilità di svolgere le prestazioni in periodi predeterminati nell’arco della settimana, del mese o dell’anno.
Il fatto, dunque, che questa fattispecie contrattuale sia aumentata in maniera così repentina ci conferma un trend che ha caratterizzato il mercato del lavoro negli ultimi anni. Vediamo perché. L’Osservatorio sul precariato di dicembre 2017 registra nel settore privato, nel corso dell’intero anno, un saldo positivo tra i flussi di assunzioni e cessazioni pari a 488mila, superiore a quello del corrispondente periodo del 2016 (326mila) e inferiore a quello del 2015 (613mila).
Sembrerebbe un bel risultato. Prima di dire che l’occupazione è cresciuta dobbiamo analizzare bene i dati nel loro complesso. Intanto, è facile notare il forte calo rispetto al 2015 (anno in cui il governo favorì le assunzioni con la decontribuzione). Poi, è necessario analizzare la variazione tendenziali delle posizioni di lavoro in base alle tipologie contrattuali. Infatti, registriamo l’aumento dei contratti a tempo determinato (+27,3%), dell’apprendistato (+21,7%) e del lavoro stagionale (+10000 unità). Dobbiamo, però fare i conti anche con il calo dei contratti di lavoro a tempo indeterminato (-7,8%). Tra le assunzioni a tempo determinato appare significativo l’incremento dei contratti di somministrazione (+21,5%) e, ancora di più, quello dei contratti di lavoro a chiamata che, con riferimento sempre all’arco temporale gennaio-dicembre, sono passati da 199mila (2016) a 438mila (2017), con un incremento del 120%. Questi andamenti hanno comportato una riduzione dell’incidenza dei contratti a tempo indeterminato sul totale delle assunzioni: 23,2% nei dodici mesi del 2017 contro il 42% del 2015, quando era in vigore l’esonero contributivo triennale per i contratti a tempo indeterminato. Le trasformazioni complessive (quelle da tempo determinato a indeterminato, e anche le prosecuzioni a tempo indeterminato degli apprendisti) sono state nel 2017 371mila, in flessione rispetto allo stesso periodo del 2016 (-15,6%).
Se l’obiettivo del jobs act era quello di incentivare l’occupazione stabile, questi dati dimostrano il fallimento dei provvedimenti voluti da Renzi e Poletti. Purtroppo la decisione di investire sulla domanda di lavoro invece che sull’offerta si è rivelata controproducente. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: la crescita virtuale dei posti di lavoro corrisponde ad un calo delle ore lavorate e di conseguenza ad una contrazione dei salari.
Salvatore Recupero

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1 commento

Bracco 28 Febbraio 2018 - 12:55

Chissene importa!!!
La priorità maggiore è la lotta al fascismo!
(Ahi,serva Italia,non donna di provincia ma di bordello.Dante Alighieri,ndr)

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