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Telecomunicazioni, fatturato in calo: nel 2018 persi 1700 posti di lavoro

by Salvatore Recupero
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Roma, 15 ott –  Il settore delle telecomunicazioni non vive un momento felice. Lo possiamo notare dal numero di vertenze che riguardano contact center. Dal 2014 al 2018 le imprese che operano nella comunicazione hanno registrato un brusco calo del fatturato e nell’ultimo anno il numero degli occupati è calato di 1.700 unità. Questo è quanto ci rivela il Focus sui bilanci delle principali imprese operanti nei Servizi di comunicazione elettronica, realizzato dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni. In questo studio l’authority ci mostra “lo stato di salute del settore attraverso l’analisi delle principali grandezze economiche, patrimoniali e reddituali calcolate, sulla base dei bilanci aziendali delle imprese, a livello complessivo di settore”.

Il calo dei ricavi e della redditività

Se analizziamo il valore complessivo dei ricavi, nel 2018, è pari a 30,6 miliardi di euro, in calo del 2,6% rispetto al 2014, con una flessione media annua dello 0,6%. Dopo un periodo di sostanziale stabilità (2014-2017), nell’ultimo anno si è assistito a una riduzione del 3,4%. Le cose vanno meglio per Tim con una riduzione dei ricavi (-1,8%) meno pronunciata rispetto a quella delle altre imprese presenti sul mercato (-3,2%). Una tendenza che l’ex monopolista ha confermato anche nel 2018. Gli altri operatori hanno subito una perdita dei ricavi pari al 4,9%, la società guidata da Luigi Gubitosi si è fermata all’1,4%.

In riduzione anche il margine lordo (Ebitda) e quello netto (Ebit), a causa – secondo l’analisi di Agcom – della pressione competitiva che caratterizza il settore. “Tuttavia – sottolinea l’authority – una notevole incidenza la esercitano anche le politiche di bilancio adottate dalle imprese, come ad esempio svalutazione e ammortamenti, i cui riflessi chiaramente si ripercuotono anche sul negativo andamento del reddito d’esercizio”.

Inoltre, pesano sul bilancio delle aziende di telecomunicazioni anche gli investimenti legati all’acquisizione della licenza d’uso delle frequenze 5G, con Tim e Vodafone che raggiungono i 4,8 miliardi, che ha spinto il complesso degli investimenti a superare i 12,1 miliardi, pari a quasi il 40% dei ricavi. Ovviamente questi dati non potevano non avere un impatto negativo sull’occupazione.

Il calo degli occupati

Negli ultimi quattro anni, gli addetti del settore si sono ridotti complessivamente di circa 2.800 unità (-4,2%), passando dalle 67.360 unità del 2014 alle 64.530 del 2018, con un tasso medio annuo di riduzione dell’1,1%. Una tendenza che si è rafforzata nel 2018 con una diminuzione di circa 1.700 unità lavorative. Una flessione causata da aspetti strutturali più che congiunturali. Lo stato infatti ha deciso di essere un semplice spettatore nelle partite più delicate tra i vari players delle telecomunicazioni. Questo ha dato mano libera ai giganti delle Tlc nella gestione del personale. Le aziende hanno preferito ottimizzare i costi esternalizzando e delocalizzando.

Queste scelte, in un settore caratterizzato da una eccessiva competitività, hanno danneggiato sia i lavoratori che gli utenti. In pratica i vari big delle tlc si sono state chiamate al ministero dello Sviluppo Economico solo in presenza di vertenze sindacali. In cui si scaricavano sui lavoratori e sui contribuenti i costi del cosiddetto efficientamento. La politica è stata assente, e quando si è pronunciata lo ha fatto per difendere le logiche del mercantilismo. Chi, finora ha fatto il tifo per il laissez-faire, dovrebbe quantomeno ricredersi alla luce di questi dati. Lo Stato non deve essere un semplice soggetto amministratore.

La politica industriale deve essere guidata dal governo non solo per questioni occupazionali, ma nell’interesse generale. La banda larga, infatti, fa bene all’economia. Nelle aree non raggiunte dai collegamenti internet “ultra veloci” ci sono imprese più piccole, un maggior numero di disoccupati e un tasso di mortalità delle aziende superiore alla media nazionale. Gli investimenti pubblici servono proprio a superare questo gap. Infatti, nessun imprenditore investe in un’area in cui il margine di guadagno è minimo. Non possiamo permetterci, dunque, di lasciare in mano ai privati il settore delle telecomunicazioni in quanto è strategico per la tutela interessi nazionali.

Salvatore Recupero

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