Tirana, 20 giu – Riecheggiano gli ultimi spari tra i monti del distretto di Argirocastro, mentre si alzano alte in cielo le colonne di fumo nero e denso, dovute agli incendi delle piantagioni di cannabis e dei laboratori di lavorazione. Dopo tre giorni di assedio la Repubblica della Marijuana, com’è chiamata la zona intorno al villaggio di Lazarat, è vicina alla capitolazione, circondata da oltre 500 uomini delle forze armate e isolata in ogni strada di accesso dal resto dell’Albania. I mezzi di informazione italiani non hanno dato particolare rilievo alla notizia, assorbiti dalle vicende di cronaca nera e dai mondiali di calcio; eppure sussistono aspetti che meriterebbero maggiori approfondimenti, primo fra tutti il fatto che l’intera operazione è stata pianificata con il supporto della Guardia di Finanza, intervenuta con il Gruppo esplorazione aeromarittima di Roma.
Il ministro dell’interno albanese, Sajmir Tahiri, ha dichiarato che l’operazione di polizia si riterrà conclusa solo “quando l’ultimo centimetro di Lanzarat sarà sotto il controllo dello Stato”; una dichiarazione di guerra al narcotraffico senza precedenti, che conferma la linea dura voluta dal nuovo premier Edi Rama. L’ingente impiego di militari, agenti e mezzi non ha, però, scalfito la resistenza della popolazione locale, impiegata da anni, con ogni individuo, nella coltivazione e lavorazione della marijuana. Gli uomini del cartello di Lazarat si sono difesi con armi leggere e pesanti, utilizzando vecchi mortai per la difesa antiaerea di fabbricazione sovietica. Il fatto che fossero preparati ad una possibile “occupazione” del loro territorio si può leggere scorrendo a ritroso alcuni eventi recenti, come il sequestro di oltre una tonnellata di hashish albanese eseguito a Foggia o l’atterraggio di emergenza di un ultraleggero, nei pressi di Tirana, dovuto all’eccessivo quantitativo di droga stivato. Segnali inequivocabili della volontà di voler smaltire in breve tempo il maggior quantitativo possibile di “merce”.
Per comprendere le dimensioni del giro di affari smantellato occorre affidarsi alle stime della Gdf, che parlano di un business da circa 4,5 miliardi di euro all’anno, ottenuto dalla vendita media di 90 tonnellate di stupefacenti, proventi di piantagioni distese su oltre 300 ettari di terreno. Una vera e propria enclave all’interno dello Stato albanese, conosciuta da tutti in patria e all’estero, tollerata se non addirittura sostenuta dai precedenti governi e, di fatto, principale voce del Pil reale. Viene da chiedersi, dunque, cosa sia realmente cambiato all’interno della politica albanese per giungere a compiere un intervento di tale portata e alterare equilibri e connivenze radicate e cementate negli anni. A prima vista l’intera vicenda dovrebbe essere accolta con estremo entusiasmo ma, guardando il tutto con occhi disincantati, è chiaro che una voragine economica di queste proporzioni, all’interno di un piccolo Stato qual è l’Albania, viene creata esclusivamente per essere colmata con altro. Cosa sarà questo “altro” e che impatto avrà sulla società potremo scoprirlo solo con l’evolversi della situazione. Il timore, osservando i dati dell’Osservatorio europeo sul consumo di droghe, aggiornati al 31 maggio scorso, è che questa operazione possa finire col favorire il trend seguito allo scoppio della crisi economica, ovvero una riduzione del consumo di droghe leggere, che alcuni vorrebbero legalizzare, in favore di eroina, cocaina, anfetamine e droghe sintetiche. L’idea di un’Europa popolata da orde di tossicodipendenti, abbandonati come zombie ai bordi delle strade, è più di un semplice incubo: basta aggirarsi per le periferie delle principali città greche per toccare con mano cosa potrebbe riservarci il futuro.
Francesco Pezzuto
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