Roma, 20 giu – Da Monti a Letta, passando per Renzi. Due scampoli di legislature, tre gli esecutivi che si sono alternati nella ricerca di una soluzione al ritardo dei pagamenti della pubblica amministrazione. Con risultati che definire, al più, goffi, è fargli un complimento.
Le buone intenzioni non sono mancate. Il governo Monti aveva approntato una serie di misure che parevano idonee ad “aggredire” almeno una parte della massa dell’arretrato. Letta ha proseguito sulla strada tracciata, alla quale si è accodato anche Renzi. Permane tuttavia il peccato originale: la mancanza di una stima puntuale ed affidabile che possa quantificare con precisione a quanto effettivamente ammonta il debito pregresso e ancora in attesa di essere saldato. Le cifre ballavano, a seconda del soggetto incaricato di definirle, fra i 90 e gli oltre 100 miliardi. Nessuna informazione attendibile neanche sul tempo medio di pagamento, che registra nei peggiori dei casi anche punte nell’ordine dell’anno.
Una situazione insostenibile e che avrebbe potuto -se ben gestita- essere volano di un rilancio nella politica industriale. Ben più degli incentivi alla capitalizzazione delle imprese, ben più degli sgravi (ancora in fase di promessa) all’Irap. Tanto più che si tratta di somme dovute e sulle quali la dialettica politica sull’eventuale opportunità o meno sta a zero.
La direttiva Ue che obbliga a saldare le fatture tra i 30 e i 60 giorni dall’emissione è stata approvata a novembre 2012. Da allora, passi avanti ne sono stati compiuti pochi. Renzi aveva garantito, tra le altre cose, il pagamento di quasi 70 miliardi su 100 entro luglio: ad oggi, con la scadenza imminente e soli 23 miliardi “sbloccati”, si raggiunge a malapena un terzo dell’obiettivo. Senza considerare che, oltre all’arretrato, Stato centrale ed enti locali hanno continuato ad operare, generando così nuovi debiti operativi.
In una tale situazione, la procedura avviata dalla Commissione Europea per mancato rispetto dei termini non poteva che scattare pressoché automaticamente. Si dirà che l’ingerenza di un soggetto terzo nelle vicende interne -pur se la direttiva europea, per sua natura, non è applicata immediatamente ma deve essere approvata dai parlamenti nazionali- non è mai cosa gradevole e dà la cifra di ciò che resta della nostra sovranità, si dirà che il commissario Tajani sta fornendo un assist all’opposizione di Forza Italia tra le cui fila è appena stato eletto. Facendo la tara a dichiarazioni che hanno il sapore della scusante, rimangono i dati impietosi: anche senza la messa in mora da parte dell’Unione Europea lo Stato è velocissimo quando si tratta di incassare per il tramite di Equitalia, mentre le imprese continuano a non vedersi corrisposto quanto gli spetta.
Filippo Burla
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[…] Ritardi nei pagamenti Pa, Italia in infrazione […]
[…] alla scadenza prima data promessa e successivamente ritrattata. Facendo, nel frattempo, avviare una procedura d’infrazione da parte della Commissione Ue nei nostri confronti. In un’audizione al parlamento il ragioniere generale dello Stato, Daniele Franco, nel fare […]
[…] di giustizia europea per le eccessive lungaggini nei pagamenti alle imprese da parte della Pa. Dopo tre anni dall’apertura del processo di infrazione, sono ancora necessari in media cento giorni per incassare il dovuto dalla pubblica […]