Apple, quindi, non solo continua a rifiutarsi di sbloccare l’iPhone di Syed Rizwan Farook (il timore è che, creata la tecnologia per fare ciò che chiede l’Fbi per uno smartphone, poi la stessa venga usata per tutti i telefonini) ma addirittura alza il livello delle protezioni, dando mandato ai suoi ingegneri di sviluppare nuove misure di sicurezza che renderanno impossibile accedere ad un iPhone bloccato usando metodi simili a quelli al centro della battaglia legale che si sta combattendo davanti alla magistratura californiana.
Anche il Ceo della Mela, Tim Cook, in un’intervista alla Abc, ha usato parole forti, affermando che forzare lo sblocco degli iPhone è “l’equivalente software del cancro”: “Ci stanno chiedendo di scrivere un programma che potrebbe esporre le persone a pesanti vulnerabilità”. L’Fbi, però, non demorde: “Non stiamo cercando di creare un precedente”, ha assicurato il direttore della polizia federale, James Comey, in un’audizione al Congresso. Resta il consueto dilemma di cosa sia preferibile rispetto alla nostra libertà, una maggiore sicurezza dalle minacce terroristiche o una maggiore tutela della nostra riservatezza. Apple punta sulla seconda. Questione di principi? Soprattutto questione di pubblicità.
Roberto Derta
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Non vedo quale siano o possano essere i problemi per un cittadino onesto se, gli Organi di Sicurezza Nazionale o di Polizia, “ascoltando conversazioni” di indagati, in tali occasioni o per le indagini, ascoltano anche quelle di persone collegate.
Un principio è importa venga chiarito, ossia che le “libertà individuali”, come la “privasy”, non possono nè devono essere invocate quando ledono o possono ledere libertà e diritti di altri cittadini e/o dello Stesso Stato! L’FBI ha ragione di pretendere che l’Apple la metta in condizione di “sapere”, perché ritenuto vitale per tutelare la sicurezza e la vita dei cittadini americani e non solo!