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Che succede in Medio Oriente? L’Isis batte in ritirata, ma lo scenario bellico è più caotico che mai

by Mattia Pase
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Roma, 7 giu – Siamo abituati da anni a pensare alla guerra civile siriana come a un autentico inferno.
Ma nelle ultime 24 ore, non c’è fronte, all’interno del paese arabo, che non sia esploso in scontri durissimi, che probabilmente non decreteranno il vincitore della guerra, ma faranno capire chi ne saranno i contendenti finali. E’ indispensabile, per capire quello che sta succedendo, inquadrare uno per uno i diversi settori.

A Raqqa, capitale del cosiddetto Stato Islamico, l’attacco delle SDF (Syrian Democratic Forces, le milizie miste arabo-curde guidate dall’YPG, ovvero il braccio armato del partito curdo siriano, a sua volta strettamente legato al PKK di Turchia) sta iniziando a fare breccia nelle difese predisposte dall‘Isis, che dopo aver quasi completamente perso Mosul, in Iraq, sa di dover vendere cara la pelle, se non vuole perdere la faccia.
Le avanguardie curde sono penetrate in serata nei quartieri orientali, occidentali e orientali della città, appoggiate dagli Americani che supportano i loro alleati sia con raid aerei, che si aggiungono ai bombardamenti dell’artiglieria delle SDF, sia con alcuni reparti di fanteria.
A poche decine di chilometri di distanza, le Tiger Forces, ossia i reparti d’elite dell’esercito regolare siriano, sfondate le difese del’Isis a Maskanah, stanno marciando per raggiungere Raqqa nel più breve tempo possibile. Tuttavia, ed è notizia uscita in nottata, le SDF hanno attaccato l’Isis proprio sulla strada che collega Aleppo a Raqqa. Se la manovra servirà a facilitare la corsa dell’esercito siriano verso Raqqa, o piuttosto ad ostacolarla, per impedirgli di prendere parte all’assalto finale, si vedrà nelle prossime ore. Il dubbio dipende dal comportamento ambiguo dei Curdi di Siria, che in alcune fasi del conflitto hanno contrastato le forze di Damasco, mentre in altre hanno scelto una sorta di non belligeranza, quando non di aperta cooperazione. Il massiccio appoggio, militare e mediatico, offerto alle SDF dagli Stati Uniti, che si sono recentemente espressi contro Assad, lascerebbe intendere che queste impediranno all’esercito siriano di raggiungere Raqqa prima che questa sia presa dai Curdi, ma questa guerra ci ha abituato a tali colpi di scena da non permetterci di escludere nulla.

Nel frattempo, l’Isis ha rinnovato il suo attacco all’enclave di Deir Ezzor, che resiste agli assalti delle bande di Al Baghdadi da anni e che, nello sforzo di questi giorni, con lo spirito rinfrancato dall’avvicinarsi dei commilitoni fedeli a Damasco e dai continui rovesci subiti dall’Isis su tutti i fronti, si oppongono in ogni modo a qualunque tentativo nemico di sopraffare le linee di difesa, sempre più vicine al centro della capitale provinciale. Un ulteriore elemento di confusione è dato dalle continue conquiste territoriali operate dalle PMU (Unità di Mobilitazione Popolare) in Iraq, nei pressi del confine orientale siriano. Le PMU – che rispondono all’uomo da molti definito come il più potente del medio oriente, l’iraniano Qassem Soleimani – sono di fatto la forza armata più vicina a Deir Ezzor, e potrebbero decidere, se Soleimani lo volesse, e se il Governo di Damasco lo ritenesse l’unica opzione praticabile, di marciare sulla città siriana assediata. Le SDF hanno dichiarato di volersi opporre a una simile azione, ma oramai le PMU sono a pochi chilometri dal confine siro-iracheno anche in un quadrante non controllato dai Curdi, e quindi non dovrebbero chiedere il permesso a chicchessia.

Verso Deir Ezzor stanno però avanzando anche le colonne dell’esercito regolare siriano, che si sono mosse, con l’attivo supporto dell’alleato russo, da Palmira verso Arak e Al Sukhna, e da lì non avrebbero più grandi ostacoli capaci di fermarli dal ricongiungimento con i reparti che resistono a difesa dell’enclave. Che potrebbe però anche essere liberata da nord, e quindi dalle SDF, qualora queste decidessero di attaccare l’Isis lungo l’Eufrate, lungo la direttrice nord-sud. E in questo caso si pone nuovamente la questione di cosa vogliono davvero i Curdi siriani. Perché se il loro obiettivo fosse una sorta di Siria federale, avrebbero tutto l’interesse a collaborare con Damasco. Se invece mirassero a un vero e proprio Stato curdo, non avrebbero motivo di assistere l’esercito del Paese da cui si vogliono rendere indipendenti. Non fosse che i loro sponsor a stelle e strisce non potrebbero mai assecondare le loro velleità indipendentiste, che porterebbero Curdi e Statunitensi a uno scontro aperto con Ankara.

E proprio gli Statunitensi stanno spingendo, sul fronte sud, le formazioni islamiste sunnite ad attaccare l’esercito di Assad, per difendere il valico di Al Tanf, fra Siria e Giordania, e per impedire alle forze di Damasco di restaurare la sovranità governativa su quella fascia di deserto. Nella serata di ieri, un bombardamento aereo USA ha colpito alcuni reparti dell’esercito siriano e dei suoi alleati, avvicinatisi eccessivamente (stando alle dichiarazioni del comando militare statunitense) al confine giordano.

Su questo incertissimo scenario bellico aleggiano i riflessi della recente rottura diplomatica fra diversi stati arabi e il Qatar, accusato di sponsorizzare il terrorismo, e che tuttavia si è espresso in modo molto critico nei confronti dell’alleanza sunnita anti-iraniana promossa dalla visita di Trump in Arabia Saudita e in Israele. La Giordania, e forse per questo motivo la partita si è riaperta anche nel sudest siriano, non sembra essersi espressa chiaramente, e il dispiegamento di parte delle milizie sciite irachene (le stesse che potrebbero marciare su Deir Ezzor) sul confine fra Iraq e Arabia – a pochi passi dalla stessa Giordania – rischia di aprire un nuovo fronte. E di trasformare le guerre civili siriana e irachena in un gigantesco conflitto regionale.

Mattia Paese

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