Parigi, 10 gen – Nelle ultime 48 ore della sua vita Amedy Coulibaly ha ucciso a sangue freddo la giovane agente Clarissa Jean Philippe, originaria della Martinica e in servizio da appena due settimane; ha assaltato un supermercato kosher, sfidato i poliziotti ai quali ha urlato “Voi sapete chi sono”, ha ucciso quattro ostaggi, chiesto un salvacondotto per i suoi amici, i fratelli Kouachi, barricati in una tipografia a Dammartin En Goele dopo la carneficina del mercoledì pomeriggio nella quale avevano ucciso 12 persone nell’assalto alla sede del giornale satirico Charlie Hebdo.
E’ ancora prematuro addentrarsi in spiegazioni esaustive su quanto realmente accaduto in questi tre giorni di follia parigina; è certo, però, che il 32enne Coulibaly non è stato vittima di un raptus, e non era neanche un elemento fuori contesto nel quadro generale dal quale scaturiscono gli assalti armati che hanno terrorizzato Parigi.
Coulibaly conosceva almeno uno dei fratelli Kouachi, Cherif, col quale sin da ragazzo frequentava lo jihadista salafita Djamel Beghal, coinvolto nel progetto, poi sventato, per un attentato all’ambasciata americana a Parigi nel 2001. Amedy e Cherif si ritrovano ancora nel 2010 quando, insieme a un gruppo di fondamentalisti islamici, cercano di far evadere dal carcere Smait Ali Belkacem, autore dell’attentato del 1995 alla stazione di Saint Michel a Parigi.
Una vita trascorsa a entrare e uscire dalle prigioni francesi, quella di Amedy, con condanne per rapina a mano armata, spaccio di droga, accompagnata da un’intensa attività di propaganda e affiancamento delle cellule terroristiche salafite.
Tutto questo, però, non gli ha impedito di essere scelto nel 2009 come stagista per la Coca Cola, chiamato a svolgere un apprendistato nella fabbrica di Grigny. Fu proprio in quel contesto che ebbe l’occasione di incontrare l’allora presidente Nicolas Sarkozy, in visita istituzionale all’impianto, al quale strinse la mano e chiese un autografo per la sua famiglia.
Francesco Pezzuto