Roma, 11 ott – Riaprire il tavolo delle trattative sulla guerra in Ucraina sembra oggi molto complicato. Kiev e Mosca procedono a suon di attacchi, contrattacchi, minacce, bombe. Paradosso apparente: è proprio adesso, con la recrudescenza dello scontro e sull’orlo della catastrofe paventata, che i negoziati sono un’opzione concreta. In tal senso, detto e ridetto dei messaggi in codice americani, torna a muoversi “il sultano” Erdogan. Attore più influente che mai, a cavallo tra alleanza atlantica e mire imperialiste, la Turchia ha un vantaggio su tutti dettato da ontologica autonomia: si è posta da subito come arbitro in potenza.
Lo ha fatto in virtù della coabitazione critica con la Russia in Libia, nel Caucaso, in Medio Oriente e in Asia Centrale. Critica perché sempre a un passo dalla deflagrazione regionale, con opposti interessi sulla carta, incrociabili allorché vige l’atavica logica della spartizione territoriale. Si vedano il caso siriano e quello azero-armeno. Ma lo ha fatto anche e soprattutto perché non può permettersi moti ondosi anomali nel Mar Nero, forieri di tsunami scongiurabili negli Stretti di casa. C’è poi la questione libica, trampolino sul Nostrum energetico di russi e turchi, sponda Tripolitania i primi, base Cirenaica i secondi.
Erdogan incontra Putin: una trattativa possibile
E così Erdogan, domani, incontrerà Putin. I cosiddetti “dossier sul tavolo” sono molti, ma al summit Russia-Asia Centrale ad Astana, capitale dell’oscillante (tra Mosca e Pechino) Kazakistan, il presidente turco proverà in particolare ad affrontare la questione ucraina. Non una novità assoluta, sarebbe infatti il quarto incontro tra Erdogan e Putin dall’inizio della guerra. Tutti però relativamente recenti, col favor della distensione estiva. Segno di rinnovata disponibilità al dialogo da parte di Mosca e fretta di chiudere la partita da parte di Ankara. Pochi giorni fa, il vicepresidente turco, Mustafa Sentop, si è mostrato particolarmente inquieto: “Ci sono Paesi che remano contro la fine del conflitto in Ucraina”, ha detto con chiaro riferimento a Regno Unito e ad alcune nazioni dell’Est Europa.
Al contrario, la Turchia, dopo aver strappato l’accordo chiave sul grano (globale sospirone di sollievo) sa di avere molte frecce al proprio arco. Il “sultano” è spesso imprevedibile, sembra affetto da impulsività, ma è in realtà abile calcolatore. Lo ha dimostrato più volte in passato, anche nei confronti di un’Europa che ne ha subito i ricatti sui flussi migratori. Ora, pur consapevole del lungo salto ad ostacoli per arrivare alla soluzione diplomatica, torna a tessere la tela. Senza eccessiva fretta, forse, tuttavia con la consapevolezza che trattare può e trattare deve. Non sarà mai ambasciatore europeo, ma non è detto che la sua missione sia in questo caso un male per noi. Posto che in politica estera vale sempre una regola aurea eraclitea: tutto scorre e il mio peggior nemico potrebbe rivelarsi il mio miglior alleato. Di convenienza, si intende.
Eugenio Palazzini