Roma, 2 lug – La Cina non ha mai celato la sua volontà di potenza e la rivendicazione di Taiwan è storia vecchia quanto la Cina moderna stessa. Stato insulare de facto, erroneamente confuso dai più come un’unica isola, l’anello sfuggito al Dragone rosso è costituito in realtà da un gruppo di quattro isole: Formosa, Penghu, Kinmen e Matsu. La prima non è altro che la principale, la più grande e conosciuta. L’intero arcipelago è però la preda più ambita dalla Cina, come ribadito durante la celebrazione del centenario del Partito Comunista. Diversi punti del discorso di Xi Jinping, condito da parate e retorica vecchio stile mutuati dall’Urss, andrebbero analizzati per comprendere le mire cinesi.

La riunificazione e i cinque microfoni

Almeno quelle pubblicamente rivelate, perché come noto la Cina non ama spiattellare i propri segreti in generale, figurarsi quando si tratta di strategie militari. C’è però un passaggio cruciale, nel discorso del leader cinese, che riguarda proprio Taiwan. Alcuni media internazionali hanno notato che mentre Xi Jinping si limitava apparentemente a ribadire la necessità di una “riunificazione”, davanti a lui c’erano cinque microfoni.

Cosa c’entra? E’ un dettaglio quantomeno curioso perché in lingua cinese “cinque microfoni” è omofono di “riunificazione con la forza”. Ben diversa quindi dalla sempre invocata “riunificazione pacifica”. Casualità? Può darsi, eppure il simbolo è sempre importante soprattutto in Oriente. E non è trascurabile neppure il fatto che l’hashtag #SolveTheTaiwanProblem, più esteso e in italiano “Risolvere il problema di Taiwan è il desiderio comune del popolo cinese”, ha raggiunto quasi 500 milioni di visualizzazioni. Entrando in tendenza nella Cina continentale.

Come la Cina si prepara (forse) a invadere Taiwan

Ma non è tutto, anzi quanto scritto sopra potrebbe risultare quasi irrilevante di per sé. Perché a contare davvero in termini di possibili svolte aggressive di Pechino, è ciò che ha scritto la rivista cinese Naval and Merchant Ships. In un apposito articolo si riporta infatti nel dettaglio, per l’esattezza tre fondamentali step, un piano militare per conquistare Taiwan. E il messaggio è piuttosto inequivocabile: “Dobbiamo avvertire solennemente alcune persone che la strada dell’indipendenza di Taiwan porta solo a un vicolo cieco”. Le isole che la Cina considera una mera provincia rinnegata, potrebbero subire un attacco proprio nell’anno del centenario del Partito Comunista cinese? Non è più improbabile. Il disimpegno americano nel Pacifico e la crescente forza bellica del Dragone sono due fattori da non trascurare in quest’ottica. Resta però l’anomalia del piano “svelato”, cosa che la Cina tradizionalmente evita come la visionaria peste scarlatta evocata da Jack London. Il diversivo strategico è forse più credibile.

L’immutabile compito

E qui torniamo al roboante discorso di Xi Jinping. Perché il presidente della Repubblica popolare ha pure detto che risolvere la questione Taiwan e centrare la riunificazione della nazione rappresentano “l’immutabile compito storico del Partito comunista cinese”. E “nessuno dovrebbe sottovalutare la determinazione implacabile, la ferma volontà e la forte capacità del popolo cinese di sostenere la sovranità nazionale e l’integrità territoriale”. Quando si dice il gesto distensivo.

Eugenio Palazzini

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