A scatenare la rabbia di Duterte è stato un attentato terroristico realizzato da Abu Sayyaf lo scorso tre settembre, quando l’esplosione di un ordigno ha provocato 14 morti nel mercato di Davao. Oltre ad essere uno dei principali centri del sud delle Filippine, Davao è soprattutto la città natale dell’attuale presidente delle Filippine, della quale è stato sindaco per molti anni prima di arrivare al governo dell’intero arcipelago. Duterte inoltre si trovava in città al momento dell’attentato, tanto che non è un’ipotesi da scartare che fosse proprio lui l’obiettivo dei terroristi islamici. “Avete visto come agisco, avrò la mia vendetta”, ha assicurato Duterte, facendo riferimento ai metodi “sbrigativi” utilizzati nel contrasto alla criminalità e allo spaccio di droga, visto che secondo alcune stime i suoi “squadroni della morte” in pochi anni avrebbero ucciso oltre 2000 persone.
Proprio i metodi poco ortodossi nel contrasto allo spaccio di droga sono stati alla base della recente polemica sorta tra Duterte e Obama, dopo che il presidente Usa aveva espresso alcune perplessità. “Figlio di p….. te la farò pagare. Sono il presidente di uno stato sovrano che non è più una colonia non ho nessun padrone ad eccezione del popolo filippino. Obama deve portare rispetto”, aveva affermato con una certa franchezza il massimo rappresentante del governo di Manila. Per chi ha seguito un po’ le vicende relative al presidente filippino nell’ultimo anno, le parole sopra le righe utilizzate contro Abu Sayyaf non suonano certo come una sorpresa. La domanda piuttosto è: quale sarà il prossimo bersaglio del “populista” Duterte?
Davide Romano
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