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Erdogan vola da Putin. In Medio Oriente tutto sta per cambiare

by Mattia Pase
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TurchiaAnkara, 10 ago – La prima visita estera di Erdogan, ovvero il suo primo atto di politica estera, dopo il fallito golpe di luglio, ha portato il Sultano a un incontro con Putin, a San Pietroburgo. E anche la scelta dell’antica capitale degli Zar, invece di Mosca o di qualche dacia sul mar Nero, potrebbe non essere casuale.

I rapporti fra Mosca e Ankara erano ai minimi storici, fino a pochi mesi fa, dopo i continui scontri in merito alla questione siriana e all’abbattimento del cacciabombardiere russo da parte dell’aeronautica turca nel novembre 2015. Le posizioni sembravano inconciliabili, in virtù dell’appoggio militare russo al Presidente siriano Assad, e del supporto turco ad ampi settori del variegato fronte che ad esso si oppone.
In realtà, già dalla primavera le parti avevano riallacciato timidamente i rapporti, tanto che si era arrivati a una lettera, indirizzata a Putin, in cui Erdogan esprimeva dolore – pur evitando di scusarsi apertamente – per l’abbattimento di novembre.
Dopodichè, il fallito golpe di mezza estate aveva ulteriormente riavvicinato i due leader. Si dice infatti che sia stato proprio il presidente russo, allertato dai suoi servizi di intelligence in territorio siriano, ad avvisare il suo omologo turco della preparazione del golpe, informazione che sarebbe stata preziosa e che spiegherebbe come mai Erdogan sia riuscito a sfuggire per poco alla cattura ad opera del commando che aveva il compito di neutralizzarlo.
Poichè anche gli iraniani avrebbero avuto un ruolo nello sventare il colpo di stato, che sta invece scavando un profondo solco nella storica alleanza fra Ankara e Washington, a causa delle resistenze statunitensi ad estradare Fetullah Gulen, presunto regista del tentato golpe, è inevitabile che questi elementi spingano Erdogan a cercare un accordo con Iran e Russia. La più ovvia conseguenza sarebbe una riduzione del sostegno turco ai ribelli antigovernativi in Siria, e forse è stata questa la chiave dell’assedio messo in atto – e poi spezzato, probabilmente grazie all’intervento britannico e statunitense, come emergerebbe da una recente inchiesta della BBC – dall’esercito siriano nei confronti dei quartieri di Aleppo occupati dalle milizie islamiste che si oppongono al governo di Bashar al Assad.
In questo senso potrebbero essere lette alcune delle dichiarazioni fatte dai due leader, che hanno parlato esplicitamente di lotta al terrorismo e di rifiuto del rovesciamento dell’ordine costituzionale.

Da parte russa si tratta sicuramente di un importante appoggio al governo di Erdogan (che in questi giorni ha parlato esplicitamente di terrorismo, riferendosi agli autori del colpo di stato), ma d’altro canto sono affermazioni che impedirebbero alla Turchia di proseguire nella sua politica anti-Assad (fino a prova contraria, a Damasco è lui il garante dell’ordine costituzionale), anche perchè per Mosca i terroristi sono proprio quei gruppi che la Turchia ha più o meno apertamente appoggiato fino ad ora.
Inoltre, visto il contemporaneo rafforzamento delle milizie curde (SDF) nel nord della Siria, apertamente appoggiate dagli Stati Uniti, questa politica sarebbe l’unica possibile per evitare la nascita di un’entità autonoma curda ai confini meridionali della Turchia, da sempre l’incubo peggiore di qualunque politico di Ankara.

Se effettivamente l’amicizia fra Turchia e Russia dovesse avere un seguito, la situazione in medio oriente cambierebbe completamente nell’arco di pochi giorni, visto che per le milizie antigovernative siriane la Turchia è stata, in questi cinque anni, retroterra tattico, appoggio politico e supporto logistico. E senza la connivenza di Ankara, sarebbe ben più difficile rifornire l’eterogeneo movimento islamista che da cinque anni insanguina la Siria.

Mattia Pase

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