E’ in questa chiave che andrebbe letto lo spostamento di alcuni reparti d’elite dell’esercito siriano – soprattutto i Falchi del Deserto, che dopo aver liberato Palmira erano stati dislocati proprio a difesa delle posizioni ad Aleppo, e la fanteria di marina – al confine fra le provincie di Hama e di Raqqa, portando a circa 5mila uomini la forza incaricata di forzare le difese dell’Isis e di puntare al cuore dello Stato Islamico. L’inizio dell’operazione sarebbe previsto nel giro di poche settimane, dopo l’arrivo di nuovi rinforzi. Il rifiuto statunitense alla proposta del ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov, che mirava a una collaborazione finalizzata a un attacco congiunto su Raqqa da nord e da sud-ovest, avrebbe dunque spinto siriani e russi a tentare la spallata che, se riuscisse, oltre ad assestare un colpo decisivo alle bande di Al Baghdadi, indebolirebbe le pretese curde di creare uno stato autonomo nel nord della Siria.
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Paradossalmente, ma fino a un certo punto, questa mossa troverebbe il favore (ovviamente tacito) del più accanito rivale del governo di Damasco, ovvero la Turchia, che da sempre guarda con orrore all’ipotesi di un’entità autonoma curda al suo confine meridionale. Nei prossimi giorni si potrà capire meglio se la battaglia finale è davvero alle porte, o se qualche nuovo elemento porterà all’ennesimo rimescolamento delle carte.
Mattia Pase