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Fondazioni culturali e rete di spie: come la Turchia esercita il suo soft power in Europa

by Roberto Favazzo
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Turchia soft power, spie

Roma, 1 gen – Come tutti gli Stati – che siano democratici o meno – la Turchia cerca di porre in essere la sua proiezione di politica di potenza in Europa e più in generale a livello globale. Lo fa sia attraverso le fondazioni – con le quali esercita un vero e proprio soft power – sia soprattutto attraverso le associazioni religiose che che naturalmente attraverso l’intelligence turca e cioè il Mit.

Il soft power della Turchia: le fondazioni

Incominciamo con l’uso del soft power da parte della Turchia attraverso determinate fondazioni che svolgono un ruolo per certi versi analogo e speculare a quello degli Istituti Confucio cinesi. La Fondazione Maarif non nasconde i suoi obiettivi. Infatti questa organizzazione è uno strumento di potenza morbida turca in molti Paesi. In Africa ha permesso a Erdogan di riprendere il controllo di una vasta rete di scuole che appartenevano al movimento di Fehullah Gülen.

La sede distaccata di Strasburgo della Fondazione è stata installata nel distretto di Esplanade dall’ottobre 2018. I leader della Fondazione Maarif sono alla ricerca di lacune nei sistemi educativi dei paesi in cui si trovano. In Francia offre i suoi servizi principalmente nell’insegnamento dell’inglese, in aiuto e sostegno per l’orientamento dei bambini. Nella brochure di presentazione di una fondazione, il presidente turco descrive l’obiettivo dell’entità: “La Fondazione Maarif della Turchia, creata il 17 giugno 2016, detiene un ruolo cruciale nella condivisione, con i nostri amici, della ricca esperienza del nostro paese nel campo della educazione e della realizzazione della nostra missione che si estende da diversi secoli”.

Nel 2019 Birol Akgün, presidente della Fondazione Maarif, ha partecipato al Symposium su come lottare contro il movimento Gülen. Nel suo discorso intitolato “Combattere il movimento Gülen nel mondo”, ha menzionato la lotta contro i Gülenisti nel campo dell’istruzione in Turchia e all’estero. Secondo Akgün, mille istituzioni e dormitori educativi privati, ma anche quindici università sotto il controllo della comunità Gülen erano stati tutti chiusi e nazionalizzati in Turchia da un decreto presidenziale pubblicato dopo il 15 luglio 2016. Riferendosi al rapporto inviato dal Mit alla Commissione di inchiesta istituita presso la Grand Assemblea nazionale turca. Dopo questo decreto, Akgün ha affermato che, in questa relazione, è stato indicato che la Comunità Gülen aveva 767 istituzioni educative che hanno consegnato direttamente diplomi in più di 100 paesi. Akgün ha detto che 63 di loro erano in Africa, 222 in Asia, 150 in Europa, 315 in Nord America, 7 in Sud America e 10 in Oceania. Proprio per contrastare la capillare presenza del movimento Gülen, la Fondazione ha firmato accordi con circa 40 paesi. Fra questi accordi uno merita la nostra attenzione e cioè quello aperto in Bosnia: è chiaro che, oltre alla funzione culturale dell’istituto, c’è anche un obiettivo strategico più ampio che è quello di collegare i popoli bosniaci e i turchi.

In questo senso, anche gli Istituti Yunus Erent sono stati programmati come strumenti di politica estera turca per comunicare direttamente con il pubblico straniero, affiancati dal MIT che ha collocato agenti in diverse agenzie governative che si occupano di turchi e comunità musulmane non turche all’estero anche come parte di un programma più ampio di reclutamento. Le agenzie che sono state utilizzate per le operazioni di intelligence segrete sono per esempio l’Agenzia turca dello sviluppo e della cooperazione (Tika), l‘Agenzia Diaspora per Turks Abroad (Ytb) e naturalmente l’Istituto Yunus Emre e la Fondazione Maarif. Il Mit ha sviluppato cellule “attive” in Europa utilizzando un metodo che si rivolge in particolare alla Francia e all’Austria. Le “spie “, prima di essere state selezionate come candidati per diventare futuri agenti Mit, sono stati assunti sulla base di un contratto temporaneo da parte di agenzie governative come Ytb, Tika e altri. Una volta che il Mit ha preso atto della loro utilità sono diventati operativi. Naturalmente attraverso la diaspora turca – particolarmente presente in Germania, Austria e Francia – l’intelligenza turca, utilizzando come copertura le attività educative, quelle culturali e quelle caritatevoli, conduce operazioni illegali. Non dimentichiamoci infatti che in Europa i turchi sono circa 5 milioni.

Gli uomini chiave dell’intelligence turca: Ismail Hakki Musa

Uno degli uomini chiave che l’intelligence turca ha utilizzato in Europa, e in particolare in Francia, è stato certamente l’ambasciatore turco in Francia  Ismail Hakki Musa. Quest’ultimo è stato vicedirettore del Mit tra il 2012 e il 2016. Laureato in Economia presso l’Università di Strasburgo, Ismail Hakki Musa ha studiato presso la facoltà di Giurisprudenza ed Economia di Nancy. Dopo alcuni anni ad Ankara e poi ad Algeri, Musa arriva a Lione dove riveste l’incarico dal 1994 al 1997 di vice-console e poi di console dal 2007 al 2009. In qualità di ambasciatore presenterà le sue credenziali diplomatiche a François Hollande nel novembre 2016. Entra ufficialmente in carica come ambasciatore proprio dopo quattro mesi il tentativo di colpo di stato del luglio del 2016. La sua conoscenza profonda, sia della Francia sia dell’intelligence turca, gli ha consentito di essere il responsabile ufficioso tra Ankara e il direttore del DGSE, Bernard Emié. Grazie alla loro collaborazione l’intelligence turca ha avuto la possibilità di individuare in Francia i nomi di trenta associazioni francesi nei settori dell’istruzione, delle attività femminili o delle aziende, gravitanti intorno alla nebulosa di Imam Fethullah Gülen. Questa indagine congiunta fatta con la Dgse ha portato – fra l’altro – al licenziamento di cinque funzionari dell’ambasciata turca in Francia insieme all’attaché militare.

Gli uomini chiave dell’intelligence turca: Ahmet Ogras

Quando Erdogan ha fondato l’Unione dei Democratici Turchi Europei (Uetd) nel 2005, Ahmet Ogras era uno degli uomini più fedeli di Erdogan. I suoi critici dicono che deve a Erdogan la sua nomina al capo del Comitato di coordinamento dei musulmani turchi di Francia (Ccmtf), l’associazione responsabile della gestione delle moschee turche in Francia. Il Ccmtf è stato creato contemporaneamente al Consiglio francese di culto musulmano (nel 2003), in accordo con il ministero dell’Interno, per fungere da collegamento con il Ditib (Unione turco-islamica degli affari religiosi). Il Ccmtf rappresenta 250 delle 2.500 moschee e sale di preghiera in Francia. Ditib è la “filiale” all’estero della Direzione degli Affari Religiosi in Turchia (Diyanet). In Francia, 253 moschee e 150 imam turchi – due terzi delle sale di preghiera turche sul territorio – operano sotto la sua autorità. Ci sono circa 400 moschee o sale di preghiera di obbedienza turca sul territorio francese, ma non tutte sono legate al Ditib. Ahmet Ogras, fervente ammiratore del presidente Erdogan, ha assunto la direzione del Consiglio francese di culto musulmano il 1° luglio 2017. Ogras ha partecipato a manifestazioni contro il riconoscimento del genocidio armeno in Francia e ha organizzato manifestazioni in Germania a sostegno del presidente Erdogan dopo il fallito tentativo di colpo di stato. Questo cinquantenne franco-turco, capo di un’agenzia turistica specializzata in viaggi in Turchia (Afra Voyages), sposato e padre di due figli, è noto per la sua vicinanza al presidente turco, perché le loro mogli sono cugine e suo cognato, Ali Hasal, lavora come consulente al palazzo presidenziale di Ankara. Nel 2012, ha co-organizzato a Parigi la grande manifestazione che riunisce circa 15mila turchi o cittadini europei di origine turca per denunciare il disegno di legge francese che impone sanzioni penali contro coloro che negano il genocidio armeno.

Il soft power della Turchia: associazioni religiose, imam e spionaggio

La presidenza turca degli Affari Religiosi (Diyanet) è l’istituzione ufficiale del governo che è succeduta all’istituzione ottomana dello sceicco al-Islam, che rappresenta la più alta autorità religiosa dello stato. È un’istituzione massiccia che supervisiona 90mila moschee in Turchia e migliaia all’estero. Il Diyanet, sia in Turchia che all’estero, ha circa 145mila dipendenti, il doppio del personale che esisteva quando Erdogan salì al potere. Parliamo di 100mila imam, 40mila insegnanti del Corano e dei tribunali religiosi, 3.000 predicatori e 1.250 muftì (imam senior responsabili nelle città). Uno degli strumenti più importanti attraverso i quali la Turchia esercita la sua influenza – e religiosa e politica – è infatti il Diyanet, creato nel 1924 dalla nuova Repubblica turca. Il suo statuto afferma che “la presidenza degli affari religiosi, che riferisce all’amministrazione generale, esercita le sue funzioni prescritte nella sua legge particolare, in conformità con i principi della laicità, senza influenza delle opinioni e delle idee politiche e finalizzata alla solidarietà e all’integrità nazionale”. Quindi, il Diyanet è, in teoria, un ministero “apolitico”. Tuttavia, dal 2010, è diventata una delle potenti armi dell’Akp. Nel 1971, il Diyanet ha ampliato le sue operazioni all’estero a causa dell’emigrazione turca in diversi paesi del mondo. Oggi, il Diyanet opera sia in Turchia che in 102 paesi attraverso ambasciate e consolati turchi, attraverso consulenti religiosi e imam.

A tal proposito gli imam svolgono spesso un doppio ruolo: e cioè quello di predicatori ma anche di spie in diversi Paesi europei, tra cui Belgio, Austria, Germania, Paesi Bassi, Svizzera, Norvegia e Svezia, dove hanno condotto con l’intelligence turca. Ciò vale in particolare per i turchi che sono considerati nemici del regime di Erdogan, in particolare i seguaci di Fethullah Gülen. Il Diyanet non esita a incoraggiare gli imam a raccogliere informazioni. Un rapporto intitolato “The Diyanet raccoglie informazioni su presunti gülenisti tramite imam in trentotto paesi”, è stato pubblicato dal quotidiano Hurriyet Daily il 7 dicembre 2016. Secondo le dichiarazioni ufficiali di Diyanet, rivelate nel brief di una commissione parlamentare pubblica creata per indagare sul tentativo di colpo di stato del 2016, i suoi imam hanno raccolto informazioni in trentotto paesi diversi. L’azione degli imam si è concentrata sulle attività dei presunti sostenitori del predicatore islamico con sede negli Stati Uniti, Fethullah Gülen, la mente del tentativo di colpo di stato del 15 luglio 2016. Il Diyanet ha detto ai membri della commissione parlamentare che gli imam e altri addetti religiosi hanno raccolto informazioni e scritto rapporti sui gülenistes in Abkhazia, Germania (tre rapporti da Düsseldorf, Colonia e Monaco), Albania, Australia (due rapporti da Melbourne e Sydney), Austria (due rapporti da Salisburgo e Vienna), Azerbaigian, Bielorussia, Belgio, Bosnia-Erzegovina, Bulgaria (due rapporti su Plovdiv e Sofia), Danimarca, Estonia, Finlandia, Georgia, Paesi Bassi, Regno Unito, Svezia, Svizzera, Italia, Giappone, Montenegro, Kazakistan, Kenya, Kirghizistan, Kosovo, Lituania, Macedonia del Nord, Mongolia, Mauritania, Nigeria, Norvegia, Polonia, Romania, Arabia Saudita, Tagikistan, Tanzania, Turkmenistan e Ucraina. Inoltre, Diyanet ha condiviso copie dei file con membri del Parlamento, comprese foto di individui presumibilmente legati al movimento Gülen. Dal momento che ci sono probabilmente migliaia di moschee turche d’oltremare gestite da imam turchi nominati dal governo turco e i cui stipendi sono pagati dal Diyanet, è quasi impossibile per loro rifiutare gli ordini di Ankara di collaborare con il Mit.

Roberto Favazzo

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1 commento

fabio crociato 1 Gennaio 2022 - 6:12

C’è quindi un altro ruolo sempre sottovalutato, quello di estorsori dei loro connazionali al estero. Tanto per chiudere l’ edificante quadretto. Gulen o non Gulen. Turchi o non turchi.

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