Roma, 2 mag — L’ennesima infornata di «termini problematici» diffusa dai boss di Google. La dirigenza dell’azienda, in ossequio al terrorismo woke che — fatta eccezione per Twitter — spadroneggia tra i colossi della Silycon Valley ha presentato al personale del Regno Unito una lista di locuzioni e parole «vietate» che sarebbe meglio sostituire con altri termini meno discriminatori e maggiormente inclusivi. Lo riferisce il DailyMail.

Google diffonde la lista dei termini problematici

Notevoli le chicche presenti nell’aggiornato «dossier linguistico inclusivo» inviato dal gigante tecnologico statunitense alla sede di Londra. Spariscono le espressioni come man-hour (l’unità di misura del lavoro svolto da un lavoratore in un’ora) perché discrimina le donne e gli altri 72 generi, e l’appellativo you guys («voi ragazzi») per lo stesso motivo. Diversi termini presi di mira dai capi woke di Google includono white list, black list, black hole (buco nero), e black box (scatola nera), nonché chubby (paffuto) perché potrebbe offendere i sovrappeso. Viene fatto assoluto divieto di descrivere persone o situazioni come crazy, bonkers or mad (pazzo, matto) perché potrebbe risultare offensivo per le persone con problemi mentali.

Il deputato conservatore Nigel Mills ha definito i cambiamenti «sciocchezze woke», dichiarando al Sun: «Non so dove le persone trovino il tempo per inventare questo genere di cose. Che importa? Non dovremmo abbandonare frasi e parole usate per una generazione solo perché alcune anime belle potrebbero risentirsi».

La funzione “linguaggio inclusivo”

Dal canto suo, Google ha risposto affermando che il dossier fornisce solo «linee guida editoriali per produrre chiare e coerenti documentazioni per sviluppatori relative a Google». Non è la prima volta che il colosso tech si rende protagonista di tali episodi. L’anno scorso, Google ha lanciato una funzione di «linguaggio inclusivo» progettata per evitare l’utilizzo di parole politicamente scorrette. Agli utenti che digitano landlord (proprietario) viene spiegato che il termine «potrebbe non essere inclusivo per tutti i lettori» con il suggerimento di provare invece i più neutri property owner or proprietor. Allo stesso modo viene suggerita la parola humankind (umanità) al posto di mankind.

Cristina Gauri

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Classe 1977, nata nella città dei Mille e cresciuta ai piedi della Val Brembana, dell’identità orobica ha preso il meglio e il peggio. Ex musicista elettronica, ha passato metà della sua vita a fare cazzate negli ambienti malsani delle sottoculture, vera scuola di vita da cui è uscita con la consapevolezza che guarire dall’egemonia culturale della sinistra, soprattutto in ambito giovanile, è un dovere morale, e non cessa mai di ricordarlo quando scrive. Ha fatto uscire due dischi cacofonici e prima di diventare giornalista pubblicista è stata social media manager in tempi assai «pionieri» per un noto quotidiano sabaudo. Scrive di tutto quello che la fa arrabbiare, compresi i tic e le idiozie della sua stessa area politica.

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