Roma, 10 nov — In Giappone l’introduzione della Dad (didattica a distanza) non ha ridotto significativamente il contagio di coronavirus. E’ quanto conclude un team di ricercatori delle Università di Harvard, di Gakushin e di Shizuokadi in uno studio pubblicato su Nature Medicine a fine ottobre e ripreso da La Verità.

«Non troviamo prove che la chiusura delle scuole in Giappone abbia causato una significativa riduzione del numero di casi di coronavirus», hanno stabilito gli studioso dopo aver messo a confronto i dati pandemici dei Comuni giapponesi che durante la prima ondata del 2020 avevano interrotto le lezioni in presenza, con altri che avevano consentito agli alunni dai sei ai 15 anni di rimanere in classe. Sì, perché in Giappone l’eventuale chiusura delle scuole elementari e medie e la messa in Dad degli studenti non viene decisa unilateralmente dal ministero dell’Istruzione, ma dalle amministrazioni comunali.

Dad, uno studio di Harvard la affossa: non fa diminuire i contagi

I ricercatori nipponici e americani hanno quindi passato al setaccio 847 piccoli centri delle aree metropolitane di Tokyo e Osaka, in 25 delle 47 prefetture del Giappone. Scopo dello studio, osservare se dal 26 febbraio al 1° giugno 2020 i benefici, in termini di calo dei contagi, della sospensione scolastica in presenza superassero il prezzo pagato dagli alunni in termini di perdita di apprendimento, peggioramento della salute fisica e mentale, e incremento delle situazioni di disfunzionalità famigliare.

Ebbene, dopo avere incrociato una pletora di dati e variabili gli scienziati non hanno riscontrato differenze nel numero di casi di Covid per 100.000 tra i due gruppi di Comuni — quelli con le scuole in Dad e quelli con le scuole aperte. Gli istituti chiusi tra il 4 marzo e il 1 giugno 2020 «non hanno ridotto significativamente la diffusione di Covid-19 in Giappone». Non solo, «Comuni che hanno chiuso le loro scuole hanno per lo più aumentato il numero di casi».

Una misura inutile

I ricercatori osservano che «la chiusura delle scuole è uno degli interventi non farmaceutici più frequenti», specificando che ad aprile 2020, «173 Paesi avevano interrotto la didattica in presenza, colpendo l’84,3% degli studenti iscritti nel mondo». Proprio alla luce di questi risultati invitano a prendere in considerazione altre politiche e altre misure «date le potenziali conseguenze negative per bambini e genitori». «La scuola rappresenta solo una piccola parte del contatto sociale», osserva l’autore di un altro studio analogo che ha portato i medesimi risultato, Qingpeng Zhang della School of data science della City University. «È più probabile che le perso- ne vengano esposte ai virus nelle strutture pubbliche, co- me ristoranti e centri com- merciali».

Cristina Gauri

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Classe 1977, nata nella città dei Mille e cresciuta ai piedi della Val Brembana, dell’identità orobica ha preso il meglio e il peggio. Ex musicista elettronica, ha passato metà della sua vita a fare cazzate negli ambienti malsani delle sottoculture, vera scuola di vita da cui è uscita con la consapevolezza che guarire dall’egemonia culturale della sinistra, soprattutto in ambito giovanile, è un dovere morale, e non cessa mai di ricordarlo quando scrive. Ha fatto uscire due dischi cacofonici e prima di diventare giornalista pubblicista è stata social media manager in tempi assai «pionieri» per un noto quotidiano sabaudo. Scrive di tutto quello che la fa arrabbiare, compresi i tic e le idiozie della sua stessa area politica.

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