Londra, 29 gen – Liste di proscrizione vegan. E’ ciò che succede in Gran Bretagna in questi giorni, dove Project Calf, un gruppo di azione militante animalista, ha diffuso in rete una lunghissima lista di nomi e indirizzi di allevatori e proprietari di fattorie inglesi e gallesi.

La mappatura di oltre 6000 allevamenti

L’elenco, sotto forma di mappa interattiva, è visibile al sito www.projectcalf.com e ha tracciato oltre 6mila fattorie su tutto il suolo britannico. Come riportato dal Daily Mail, questa iniziativa ha suscitato la rabbia delle migliaia di allevatori coinvolti loro malgrado nell vicenda. Sul sito, gli attivisti incitano senza mezzi termini a “documentare, protestare, mostrare a tutti” le condizioni di vita negli allevamenti. Per ogni azienda, oltre ai dati sensibili del proprietario, vi sono spesso foto scattate di nascosto da volenterosi militanti e che testimoniano le condizioni di vita del bestiame, e descrizioni più o meno fantasiose di quello che accade nelle strutture. Si tratta di un enorme progetto di citizen journalism, termine con cui si indica una raccolta di testimonianze, o notizie, o dati, che vede la “partecipazione attiva” dei cittadini comuni, grazie alla natura interattiva dei nuovi media e alla possibilità di collaborazione tra moltitudini offerta da Internet.

vegan

Le reazioni degli allevatori

“Questo tipo di iniziativa distruggerà le nostre vite“, protestano gli allevatori che temono per l’incolumità propria e delle loro famiglie. Molti fattori denunciano il fatto che il sito letteralmente strabordi di informazioni fasulle, tutte ovviamente con connotazioni negative: cattiva pubblicità che metterebbe a repentaglio anche l’attività economica delle aziende agricole interessate. Molti allevatori sono così preoccupati da quest’ultimo aspetto da aver organizzato e pubblicizzato delle visite guidate per il pubblico, per smentire le accuse di inumanità delle condizioni di allevamento lanciare dai delatori di Project Calf. Insomma, anche questa volta il mondo civile si piega all’intransigenza del politically correct, che con un dominio registrato, un po’ di propaganda mirata e la consueta dose di ricatto morale è riuscito stavolta a tenere in scacco una nazione di allevatori.

Cristina Gauri

 

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Classe 1977, nata nella città dei Mille e cresciuta ai piedi della Val Brembana, dell’identità orobica ha preso il meglio e il peggio. Ex musicista elettronica, ha passato metà della sua vita a fare cazzate negli ambienti malsani delle sottoculture, vera scuola di vita da cui è uscita con la consapevolezza che guarire dall’egemonia culturale della sinistra, soprattutto in ambito giovanile, è un dovere morale, e non cessa mai di ricordarlo quando scrive. Ha fatto uscire due dischi cacofonici e prima di diventare giornalista pubblicista è stata social media manager in tempi assai «pionieri» per un noto quotidiano sabaudo. Scrive di tutto quello che la fa arrabbiare, compresi i tic e le idiozie della sua stessa area politica.

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