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Interventi Americani /1: La Libia dopo Gheddafi

by Saverio Andreani
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gheddafi-raisTripoli 26 feb – Tutto quello poteva andare storto è andato storto, una morte annunciata, della primavera araba non rimane altro che il caos. E’ il caso della  Libia, un Paese ancora gravemente destabilizzato dall’incapacità di costruire una via solida al dopo-Gheddafi. A tre anni dalla rivoluzione garantita dall’ombrello Nato, la Libia resta impantanata in una crisi profonda. Uno Stato dal governo centrale debolissimo, diviso da lotte tribali feroci; lacerato da una duplice anima araba e africana; spaccato tra Cirenaica, Tripolitania e Fezzan sahariano; soprattutto incapace di assorbire oltre 1.700 differenti milizie armate pronte a farsi la guerra per il nulla.

Le conseguenze di questo mosaico di forze centrifughe si riverberano nella paralizzante incertezza che domina a Tripoli. Il 7 febbraio doveva sciogliersi il governo in vista di elezioni anticipate. Ma di fatto è rimasta in piedi la coalizione di minoranza guidata dal primo ministro Ali Zidan. Scelto dopo infinite trattative seguite alle elezioni parlamentari del 7 luglio 2012, Zidan è costretto a navigare a vista e in posizione di estrema debolezza da quando il fronte islamico è passato all’opposizione.

Il lato oscuro della Libia può essere testimoniato dai pochi funzionari dello Stato centrale che osano reagire e  vengono metodicamente assassinati nella massima impunità. Più a ovest, verso le regioni centrali attorno a Sirte che restano il bastione delle tribù più fedeli al clan Gheddafi, rabbia, frustrazione e desiderio di riscatto sono di casa e vengono rafforzati dalla dura repressione tutt’ora praticata con pugno di ferro specialmente per volere dei più bellicosi tra i miliziani provenienti da quella che è ormai a tutti gli effetti la città Stato indipendente di Misurata. Anche sulle montagne di Nafusah, roccaforte di quelle stesse tribù berbere (gli amazig, come vengono chiamati in loco) che lanciarono l’attacco decisivo su Tripoli nell’agosto 2011. Tira aria di autonomia separatista. I dirigenti berberi sono ben decisi a prendersi ciò che il verticismo accentratore e autoritario di Gheddafi aveva impedito a suon di arresti e punizioni collettive: la libertà di parlare la loro lingua, assieme a scuole, istituzioni culturali, gestione dell’economia e dell’ordine pubblico assolutamente indipendenti.

Sul piano politico la prima parte del governo Gheddafi viene definita una “terza via” rispetto al comunismo e al capitalismo, nella quale cercò di coniugare i principi del panarabismo con quelli della socialdemocrazia. In nome del Nazionalismo arabo, decide di nazionalizzare la maggior parte delle proprietà petrolifere straniere, di chiudere le basi militari statunitensi e britanniche, in special modo la base “Wheelus”, ridenominata “ʿOqba bin Nāfiʿ”.

Nel 1977, grazie ai maggiori introiti derivanti dal petrolio, il regime decide di effettuare alcune opere a favore della propria nazione, come la costruzione di strade, ospedali, acquedotti ed industrie. Proprio sull’onda della popolarità di tale politica, nel 1979, Gheddafi rinuncia a ogni carica ufficiale, pur rimanendo l’unico vero leader del paese, serbandosi solo l’appellativo onorifico di “Guida della Rivoluzione”

Abbattendo il regime di Gheddafi non si è lasciato spazio ad un ipotetico improbabile governo popolare democratico, anche perché le strutture dello stato semplicemente non esistevano; esistevano ed esistono individualità che sono il riferimento dei vari gruppi etnici e clanici, in uno schema, appunto, che somiglia più a quello feudale, in cui le diverse milizie armate si contendono spezzoni di territorio, e di potere.

La guerra civile ha spinto nel baratro la Libia, assecondato le varie nazioni che hanno contribuito a spodestare Gheddafi, infatti il governo provvisorio dei ribelli ha fatto intuire che gli accordi petroliferi saranno rivisti, favorendo le compagnie dei Paesi che hanno militarmente contribuito all’abbattimento del regime. In base alle più recenti stime si ritiene che le riserve di petrolio della Libia siano di 60 miliardi di barili. Le sue riserve di gas di 1.500 miliardi di metri cubi. Attualmente la sua produzione è tra 1,3 e 1,7 milioni di barili al giorno, ben al di sotto della sua capacità produttiva. Le prospettive più lungo termine, secondo i dati della National Oil Corporation (NOC), sono di tre milioni di b/g e una produzione di gas di 2.600 milioni di metri cubi al giorno. La Libia è tra le dieci economie petrolifere più importanti al mondo. Le sue riserve sono stimate al 3,5% di quelle mondiali, più del doppio di quelle americane. Prima dell’abbattimento del regime, il primo partner era l’Italia, che usufruiva del 28% della produzione complessiva, agente in loco con l’Eni (maggiore produttore straniero di petrolio nel Paese nordafricano prima della guerra civile) fin dal lontano 1959, rapporto ulteriormente rafforzato dopo l’accordo Gheddafi-Berlusconi del 2008. Seguono a scalare, la Francia, con il 15%, la Cina con l’11% e la Germania (10%); le briciole alle compagnie americane.

Saverio Andreani

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