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Israele, ecco perché non ci sono i numeri per governare

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Roma, 28 mar – Anche le ultime elezioni in Israele non hanno donato chiarezza quanto al prossimo futuro politico e geopolitico della nazione. Nessun blocco elettorale ha infatti raggiunto almeno 61 (numero minimo per poter governare) dei 120 seggi della Knesset. La consueta instabilità è anche dovuta alla necessità di mantenere una legge elettorale proporzionale. Avere maggioranze politiche laiche creerebbe infatti difficoltà sociali data la presenza di minoranze religiose ed ortodosse. Oppure, una maggioranza ebraica potrebbe provocare conflitti civili con la minoranza araba, nel caso dovesse escluderne ogni rappresentanza. In virtù della frequente ingovernabilità, possiamo provare ad immaginare i futuri scenari governativi e geopolitici dello Stato.

In primis, è da considerare possibile che si ritorni alle urne per la quinta volta in poco più di due anni: nessuno dei due blocchi ha, ad oggi, la maggioranza e le due forze autonome (Yamina e Ra’am) sono troppo divergenti per poter confluire entrambe nella stessa coalizione. Inoltre, ogni alleanza attuale o futura potrà nascere esclusivamente sulla certezza di un percorso prestabilito, soprattutto in materia di politica estera.

Dagli Accordi di Abramo alla nuova amministrazione Usa: Israele costretto a “rimodellarsi”?

Il premier uscente Benjamin Netanyahu ha sviluppato nel corso dei suoi mandati degli accordi esteri che non da tutti sono stati condivisi. In particolare gli Accordi di Abramo, che promuovono pace ed accordi commerciali in Medio Oriente con Arabia Saudita e Bahrain, hanno provocato un acceso dibattito interno. Essi sono stati sanciti grazie all’intermediazione dell’amministrazione Usa di Donald Trump, al termine di anni di trattative. Tuttavia, alcune forze politiche (tra cui Yamina) hanno rimproverato al premier eccessiva arrendevolezza nella trattativa. Al di là delle relative posizioni sulle vicende mediorientali, appare chiaro come l’eventuale alleanza con queste fazioni richiederebbe una trattativa interna anche sugli Accordi stessi.

Netanyahu li ha celebrati come il più grande risultato di politica estera della sua stagione. Tuttavia, con alleanze forzate da sancire e con la nuova amministrazione Usa in rapporti non necessariamente idilliaci con Israele, quest’ultimo potrebbe ritrovarsi costretto a rimodellare la sua politica. Infatti, ad oggi con Joe Biden ha interloquito telefonicamente solo una volta, anche in virtù della maggiore propensione delle amministrazioni dem al dialogo con l’Iran. Resta da osservare, oltre alle divergenze interne, proprio l’approccio estero nel prossimo futuro: una vicinanza strategica potrebbe arrivare da Mosca.

Le due nazioni sono in buoni rapporti, dato anche che 1/3 della popolazione israeliana è proprio di origine russa. Le divergenze in politica estera delle due nazioni sull’approccio verso determinati contesti non hanno compromesso le relazioni diplomatiche. Non ci resta che osservare l’evoluzione politica di Israele che, almeno ad oggi, è ancora lontana dal ritrovo di una duratura stabilità governativa.

Tommaso Alessandro De Filippo

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