Roma, 6 mag – Un’isola nel canale della Manica segna l’eterno ritorno della contesa tra Francia e Regno Unito. Parliamo di Jersey, una limitatissima porzione di terraferma circondata dalle acque, di appena 118 chilometri quadrati e in cui vivono poco più di 100mila persone. Jersey, l’antica Caesarea, menzionata dall’imperatore Antonino nel suo itinerario, è uno dei pochi resti del ducato di Normandia. E fa parte dell’omonimo baliato, ovvero l’area di giurisdizione di un balivo, di shakespeariana memoria. Terra britannica a 300 chilometri da Londra e a un tiro di schioppo dalla Francia. Sembra una storia medievale, pare di udire il clangore delle trombe e lo sferragliare di armature metalliche. E invece è allarmante cronaca.
A Jersey va in scena la guerra “medievale” tra Francia e Inghilterra
“Francia e Inghilterra minacciano di farsi la guerra per l’isola di Jersey. Altro che Europa: la pace ostaggio di un merluzzo”, ironizza Vittorio Sgarbi su Twitter, centrando in modo lapidario l’oggetto del contendere. O il pesce, se più vi aggrada. Sì perché da diversi giorni una cinquantina di pescherecci francesi stanno protestando al largo dell’isola in questione, ritenendo le condizioni imposte dal Regno Unito fortemente penalizzanti per le loro attività. A tal punto che martedì è intervenuto pure il ministro francese responsabile del Mare, Annick Girardin, annunciando che Parigi è pronta a “misure di ritorsione” nei confronti dell’isola di Jersey. Forte risposta che potrebbe essere evitata, a dire del ministro, soltanto nel caso in cui le autorità locali la pianteranno con questo modus operandi che limita l’accesso dei pescatori francesi alle acque territoriali britanniche.
Per tutta risposta ieri il premier inglese Boris Johnson ha inviato due navi da guerra, la Severn e la Tamar, per pattugliare la zona di mare e dunque scoraggiare i possibili blocchi dei pescatori. E Macron come ha replicato? Con la più classica delle mosse da battaglia navale, inviando cioè a sua volta due navi militari. Intanto Clément Beaune, segretario di Stato francese, fa sapere all’Afp che le “manovre” britanniche al largo dell’isola di Jersey “non devono intimidirci”. Puntualizzando poi di aver affrontato l’argomento con il suo omologo britannico, David Frost. “La nostra volontà è non alimentare tensioni ma avere un’applicazione rapida e completa dell’accordo” sulla pesca in seguito alla Brexit, dice Beaune.
L’isola del tesoro
In tutto questo c’è pero di mezzo lei, l’isola del balivo, il cui governo locale è autonomo pur essendo parte della Corona britannica. E Jersey proprio non ne vuol sapere di consentire l’agevole accesso a questi pescatori francesi. Si trincera dietro un’interpretazione particolarmente restrittiva del capitolo sulla pesca dell’accordo quadro sul post Brexit sottoscritto tra Ue e Regno Unito. Così limita il numero di licenze ai pescatori, rilasciandole con il contagocce.
L’autonomia di Jersey risale d’altronde al 1259, quando l’Inghilterra strappò l’isola alla Francia. E da allora è quello che oggi tutti chiamano un “paradiso fiscale”. Lo è in particolare dal XX secolo, quando le autorità di Jersey tolsero la tassa di successione sui beni, che al tempo su importi superiori a 1 milione di sterline in Gran Bretagna era addirittura dell’80%. Effetto scontato: i ricchi inglesi trasferirono i loro beni e i loro depositi bancari sull’isola a un lancio di dardo dalla Francia. Da allora nulla è cambiato. Anzi, Jersey è ancor di più un paradiso fiscale, con un’aliquota standard per le imposte sulle società allo 0%. In questo lembo di terra, giusto per intendersi meglio, sono custoditi asset per circa 5 miliardi di dollari ogni miglio quadrato. L’isola del tesoro, nel terzo millennio. Vegliata forse dal fantasma di Long John Silver.
Eugenio Palazzini