Timboni, 13 nov – Non è certo una novità di come, in molte parti del mondo, coesistano immense ricchezze accanto a enormi povertà. In Africa lo stridio è ancora più accentuato poiché le parti ricche sono delle oasi in mezzo a deserti di stenti e fame, guerre dimenticate e poco spazio nell’informazione soprattutto quella pietista. Proprio in questi giorni programmi e giornali del mainstream fanno a gara per mostrarci gli stenti e le sofferenze dei clandestini (circa un migliaio) traghettati dal Continente nero all’Italia, alla Sicilia in particolare: donne, minori (a volte si fa per dire) e soprattutto uomini, giovani uomini che invece potrebbero restare nei loro Paesi e sbracciarsi per risollevarne le sorti. E invece chi si sbraccia da decenni sono uomini e donne stranieri mossi dal desiderio di aiutare coloro i quali restano e lavorano per lo sviluppo di piccole e grandi comunità sino a diventare autonome e in grado di far crescere e sostenere i propri figli. Ospedali, scuole, pozzi, tra le azioni più importanti. Fatti che accadono a migliaia di chilometri di distanza, in Kenya nella fattispecie, e che sono in grado di incidere sulla quotidianità di popoli già vessati da difficoltà ataviche.
Cronache dal Kenya, dove i volontari italiani aiutano i bambini lasciati da sole nelle capanne
Siamo in Kenya, costa orientale dell’Africa centrale, in prossimità del villaggio Timboni e una testimone diretta ci racconta quanto sta succedendo a causa del conflitto tra Russia e Ucraina. “Sono arrivata a metà settembre ed è stato davvero sconfortante trovare molti bambini senza scarpe, vestiti e che non frequentavano la scuola perché i genitori sono stati costretti a cercare lavoro nei villaggi lontani”. Bambini lasciati da soli nelle capanne coi più grandi ad occuparsi dei più piccoli in una stato sconfortante, ci racconta Pasqualina Morana, che da cinque anni lascia la sua Pachino (Siracusa) per alcuni mesi e con l’organizzazione di volontariato Jua Yetu (in italiano, “il nostro sole”) segue personalmente diversi progetti.
“Questo non è nulla a confronto della grave carenza di materie prime come la farina e l’olio di semi, prodotti che qui vengono forniti dal mercato ucraino, e con cui prepariamo loro la polenta, unica pietanza quotidiana”, spiega Morana. “L’anno scorso un chilo di farina costava 50 scellini, oggi ne costa 200 e non è sola una questione di prezzi, esiste anche una reale difficoltà nell’approvvigionamento. Ciò comporta un dispendio di risorse consistente per trovare questi due semplici prodotti, e dar da mangiare a questi bambini che hanno un solo pasto al giorno, quello a scuola. Qualche giorno fa abbiamo preparato loro il pilau, piatto tipico fatto con pollo, riso, spezie e verdure, una rarità per questi bambini. Così come da un mesetto hanno avuto l’opportunità di fare un’ora di ginnastica al giorno a scuola grazie a un insegnante padovano che abbiamo conosciuto qui in Kenya. Indescrivibile la loro gioia davanti ad un istruttore che quasi non capiva la loro felicità. Ha spiegato che la loro mente è come una spugna perché non riceve condizionamenti come accade a quelli che abitano nei Paesi sviluppati, bombardati da tutti gli input che arrivano da cellulari e tv. Un’esperienza ricchissima che adesso tornando nella sua Padova sono certa ci regalerà altri aiuti, Marco, così si chiama, mi ha promesso che coinvolgerà amici e conoscenti nelle adozioni a distanza”.
Ma chi sono i volontari della Jua Yetu? Nel 2015 un gruppo di persone istituì una onlus per aiutare le persone di un villaggio in località Timboni, poi costituitosi, nel 2020, in un’organizzazione con progetti che mirano a garantire i diritti fondamentali dei bambini: assistenza sanitaria, nutrizione ed educazione, riuscendo in breve a costruire la scuola primaria “Mama Rossana School”. Le donazioni sono l’unico sostentamento per le tra branchie: 1) adozioni a distanza, al costo di €10 al mese; 2) casa famiglia /scuola il villaggio dove vengono accolti i bambini rimasti orfani; 3) scuola mestieri con corsi per falegname, meccanico, muratore e sarta dedicata a chi non può proseguire gli studi. Quante volte sentiamo e leggiamo nei notiziari di clandestini, a bordo di Ong o ospiti nei centri di accoglienza, rifiutare il cibo per protesta, tutti giovanotti ben piantati che reclamano diritti inesistenti, fomentati e seguiti a ruota da personaggi politici che usano la Costituzione italiana à la carte. Di certo non sono padri di questi bambini, occorrerebbe ricordarlo ogni tanto.
Emanuela Volcan