Kabul, 2 dic – Il governo centrale afghano ha deciso di dare fiducia e man forte a diverse milizie irregolari anti talebane presenti nel paese per cercare di ostacolare la crescita di questo movimento che ormai da anni destabilizza la vita sociale e politica dell’Afghanistan. Infatti i talebani in Afghanistan hanno ancora un controllo effettivo su un quinto del territorio nazionale, nonostante 14 lunghi anni di presenza statunitense nel paese. Secondo Bill Roggio, esperto analista, la loro influenza è dichiarabile addirittura per circa metà dell’Afghanistan.
Una di queste milizie è attiva nella provincia settentrionale di Faryab, al confine con il Turkmenistan, sotto la guida del comandante Naeem. Ai suoi ordini ci sono circa 5mila miliziani. “Riusciamo a dormire solo poche ore per notte, a causa dei turni di pattuglia nei dintorni del villaggio. Se non ci fossimo noi, i talebani avrebbero già catturato Maimana, la capitale della provincia di Faryab. Giovani e anziani sono insieme in prima linea contro i talebani” afferma uno dei mujaheddin di Naeem. Da un’intervista rilasciata ai media afghani, il comandante Naeem sembra convinto che l’unica chiave di sopravvivenza per il suo paese sia questa forma di guerriglia armata contro i talebani.
L’immagine di questi guerriglieri sembra essere uscita da un libro di storia: condottieri a cavallo con turbanti in testa e kalashnikov in spalla che scorrazzano per le montagne afghane a caccia di talebani. “Il prezzo di un AK47 è raddoppiato nel bazar di Maimana rispetto a due anni fa a causa dell’aumento numerico dei guerriglieri anti-talebani nella zona” afferma un miliziano che preferisce mantenere l’anonimato. Naeem racconta che la notte del 4 ottobre 2015, mentre erano in corso combattimenti contro i talebani che cercavano di prendere il capoluogo della provincia, un ufficiale delle forze regolari di sicurezza afghana lo chiamò in preda al panico chiedendogli di indicargli un rifugio nel suo villaggio per passare la notte. Naeem rispose: “Se abbandoni la tua postazione a Maimana, ti ammazzo”. Aggiunge inoltre “se le forze di sicurezza fossero in grado di sconfiggere i talebani, i mercanti e i contadini non avrebbero bisogno di lasciare tutto e dedicarsi alla guerriglia, la gente non avrebbe bisogno di vendere gioielli, mucche e tori per comprare le armi. I talebani sono soliti chiedere l’usher (una tassa islamica) ai contadini. Noi non gli abbiamo chiesto mai nulla, nemmeno un pezzo di pane. Noi siamo i protettori della nostra patria, non i predatori”. Al fianco di Naeem c’è un giovane uomo di 24 anni, Shah Mohammad Raheemi: di giorno è uno studente di economia, miliziano di notte. Tre anni fa, tormentato dall’uccisione di tre dei suoi più cari amici da parte dei talebani, mise in vendita il raccolto di sesamo di un intero anno prodotto dal suo appezzamento di terreno per comprarsi un kalashnikov. “Siamo di fronte ad una scelta difficile” dice Shah Mohammed “dare battaglia o inginocchiarsi ai piedi dei talebani”.
Il clima sembra essere quello della guerra civile che scoppiò in Afghanistan dopo la liberazione del paese dalle truppe sovietiche e che vide la presa del potere da parte dei talebani nel 1996. Il rischio in cui il governo afghano incorre nel supportare queste milizie è quello dell’aggravio delle divisioni e della creazione di fazioni all’interno dei gruppi anti-talebani stessi con l’eventualità che si sfoci in quello che gli esperti chiamano “self-perpetuating conflict”. La seconda prospettiva è invece quella di una scossa decisiva da parte di questi miliziani in grado di affrontare combattimenti con tecniche di guerriglia avanzate, in zone da loro conosciute meglio di chiunque altro e con una forza di riscatto per il proprio popolo che ricorda vagamente quella personificata dal Leone del Panjshir, Ahmad Shah Massoud, che dedicò la propria vita nella lotta contro sovietici e talebani.
Ada Oppedisano