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Ankara, 28 mar – Obbligata a temporeggiare rispetto al vecchio obbiettivo di ampliare i propri confini fagocitando un pezzo della Siria, la Turchia ripiega su un obiettivo secondario ottenibile, forse più facilmente: lavorare per rendere sempre più difficile l’eventualità di uno Stato curdo e scardinarne le relative forze armate.
A partire dal 25 aprile la Turchia ha lanciato l’operazione “scudo sul Tigri” con l’attacchi aerei in zone controllate dalle due maggiori forze curde del momento: Ypg e Pkk. L’obiettivo delle due operazioni (distinte anche geograficamente, ma ovviamente inserite nella medesima strategia) sarebbe creare una zona cuscinetto tra la Siria, l’Iraq e Turchia sgombrando dalle forze armate curde.
La reazione delle Casa Bianca è stata abbastanza irritata soprattutto per “la mancata coordinazione dell’azione militare con le forze armate statunitensi”, il che tradotto potrebbe anche voler dire che tra i 70 morti curdi esiste la possibilità ci siano membri delle forze speciali statunitensi da mesi in zona in appoggio alle due formazioni colpite. La Turchia sostiene di aver avvisato preventivamente invece, sia gli americani che i russi; ma non è dato sapere chi ha mente e chi no. Quel che è certo è che, se in attesa di capire cosa accadrà in Siria, la Erdogan ha trovato una buona linea di azione per i propri progetti: approfittare del caos in quella zona per districarsi tra interessi Siriani, Russi, Americani e portare a casa un proprio risultato a medio termine.
La conseguenza immediata in Turchia rischia di essere una recrudescenza del terrorismo curdo ad opera del Pkk e tuttavia, senza essere troppo maliziosi, possiamo sospettare che ad un Erdogan dalla popolarità un po’ appannata, tutto sommato il prezzo dell’avventurismo possa sembrare particolarmente basso.
Guido Taietti