Palestina, 26 giu. – Nella sera del 12 Giugno tre giovani coloni israeliani scompaiono nel sud della Cisgiordania in circostanze misteriose (sembra stessero facendo l’autostop, cosa piuttosto inusuale per dei ragazzini minorenni). A tutt’oggi non si hanno ulteriori informazioni sulla loro sorte o sulle cause della scomparsa e nessuno ha rivendicato il rapimento. Tuttavia il premier ebraico Benyamin Netanyahu ha subito dichiarato che ci sono “prove inequivocabili sul ruolo di Hamas nel rapimento”. Ovviamente queste prove non sono mai state rese note all’opinione pubblica, ma con questo pretesto Israele ha dato il via all’operazione militare “Brother’s keeper”.
A due settimane dall’inizio dell’offensiva, che sta coinvolgendo sia la Striscia di Gaza che la Cisgiordania, si contano cinque adolescenti palestinesi uccisi, oltre 500 arresti preventivi (tra i quali anche due deputati di Hamas) effettuati durante raid aerei ed incursioni armate nei campi profughi.
Stando alle cifre rese note dal quotidiano israeliano “Haaretz” oltre un centinaio delle persone arrestate risulta sottoposta a detenzione straordinaria ed il tribunale avrebbe concesso l’autorizzazione ad utilizzare negli interrogatori “misure di moderata pressione fisica” (perifrasi politicamente corretta per indicare i moderni metodi di tortura) al fine di estorcere informazioni e confessioni ai detenuti.
Il tutto nel più assoluto silenzio da parte di tutte le autorità internazionali, Vaticano incluso, nonostante uno dei campi profughi più duramente sotto attacco sia proprio quello di Dheisheh, visitato meno di un mese fa da Papa Francesco.
La motivazione politica di questo duro attacco è da ricercarsi probabilmente nella preoccupazione del governo di Tel Aviv per il recente accordo tra Hamas e Al-Fatah che ha portato alla formazione di un governo palestinese di unità nazionale.
Lorenzo Berti
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