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Libia nel caos: l’Isis ora è dietro l’angolo

by Giorgio Nigra
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libiaTripoli, 14 feb – Gli italiani ancora presenti in Libia devono immediatamente lasciare il Paese per motivi di sicurezza. L’invito è stato spedito ieri dalla nostra ambasciata a Tripoli. Probabilmente a breve potrebbe chiudere la stessa rappresentanza diplomatica.

L’avanzata travolgente dell‘Isis, infatti, non consente più la nostra presenza in Libia. Due notti fa alcune radio locali di Sirte, cittadina a 450 chilometri a ovest di Tripoli, hanno trasmesso i discorsi del califfo Abu Bakr al-Baghdadi. Non un discorso scritto ad hoc per la popolazione di Sirte, ma un estratto dal “sermone” con cui Baghdadi annunciava la nascita del Califfato alcuni mesi fa.

Da settimane la presenza dell’Isis va rafforzandosi in tutta la Libia e in particolare lungo la costa del Mediterraneo. Entro un paio di mesi, secondo l’ex premier libico Ali Zeidan, la fascia costiera del Paese africano potrebbe essere completamente in mano agli jihadisti.

Intanto sono state messe sul web le immagini di 21 prigionieri in tuta arancione, ripresi sulla spiaggia di Sirte. Sono 21 cittadini egiziani, cristiani copti. Il presidente dell’Egitto al Sisi ha invitato i suoi connazionali a lasciare precipitosamente la Libia. Le bande jihadiste che si apprestano a uccidere gli ostaggi sono le stesse che qualche giorno fa uccisero a un posto di blocco un gruppo di miliziani di Misurata.

L’Isis si starebbe spostando anche verso il confine con la Tunisia, a Surman, un’altra città costiera a circa 60 km dalla capitale, dove gli affiliati di al Baghdadi hanno distribuito volantini con “dettami” per le donne, minacciando il ricorso alle armi per chi non si adegua. Di fatto nel Paese stanno tornando jihadisti libici che hanno combattuto in medio oriente per anni con lo Stato islamico e ora sono veterani con esperienza.

Aref Ali Nayed, ambasciatore del Parlamento libico di Tobruk, quello riconosciuto dalla comunità internazionale, ha inoltre spiegato che l’Isis usa il Paese “come un bancomat”. Ha detto anche che gli islamisti controllano i “giacimenti di gas e gli aeroporti del paese da cui minacciano l’Europa”.

“Una situazione che minaccia l’Italia”, è l’allarme del ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, che avverte: se la mediazione dell’Onu in corso dovesse fallire, siamo “pronti a combattere, in un quadro di legalità internazionale”.

Anche il premier Matteo Renzi ieri, davanti ai leader europei, ha denunciato “l’emergenza Libia”. Con il rischio, segnalato dagli analisti, che tra i migranti possano confondersi possibili terroristi.

Oltre alla minaccia terroristica, inoltre, va considerato tutto l’aspetto economico, diplomatico e geopolitico. Nonostante l’accelerazione del 2011 di Francia e Gran Bretagna, infatti, l’Italia era riuscita sin qui a trattenere nella sua sfera di influenza il Paese nordafricano. Eravamo gli unici ad avere ancora un’ambasciata aperta a Tripoli, dove avvenivano gran parte degli incontri diplomatici delle Nazioni Unite.

Dopo la caduta di Gheddafi l’Eni è riuscita miracolosamente a non interrompere la produzione, ma da quando di fatto non c’è più uno Stato abbiamo perso commesse, investimenti e appalti. Uno “Stato fallito”, nelle parole di Gentiloni. No, uno Stato fatto fallire, per la precisione. Anche da noi. E ora raccogliamo i frutti della nostra intelligenza diplomatica.

Giorgio Nigra

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