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Crisi del Mar Cinese Meridionale: le isole artificiali cinesi sono quasi ultimate

by Paolo Mauri
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cinaMar Cinese Meridionale, 31 mar – La Cina ha praticamente ultimato le installazioni sulle isole artificiali che ha costruito nel Mar Cinese Meridionale; a riferirlo è il Center for Strategic and International Studies (CSIS), con sede a Washington, tramite l’analisi delle ultimissime fotografie satellitari. La situazione quindi sembra ulteriormente peggiorare tra Pechino e Washington che, per voce del Segretario di Stato Rex Tillerson, propone quindi di effettuare un blocco navale delle isole, che, lo ricordiamo, è praticamente un atto di guerra.

L’idea del blocco circolava negli ambienti di Washington già da gennaio, ma ora, vista l’ultimazione delle infrastrutture e la loro dichiarata operatività, sembra essere diventata un’opzione non più così lontana. La Cina, infatti, ha provveduto alla costruzione di installazioni di tipo militare a dispetto delle dichiarazioni che volevano le isole costruite solo per scopi civili: oltre alle piste di atterraggio sono stati costruiti shelter per caccia e bombardieri ed i satelliti hanno evidenziato anche la presenza di sistemi di difesa anti-aerea e anti-missile. Particolare preoccupazione è stata anche evidenziata dagli alleati degli Stati Uniti nell’area, come l’Australia, che lamenta sia il tradimento dei propositi pacifici della costruzione delle isole come detto dal Premier cinese Li Keqiang a Malcolm Turnbull, attuale Primo Ministro australiano, durante la visita ufficiale in Australia della settimana scorsa, sia come le isole artificiali, costruite lungo la dorsale delle isole Spratly, siano una sorta di coltello alla gola per i traffici tra le nazioni confinanti e gli Stati Uniti in caso di crisi internazionale.

Le isole sono infatti strategicamente al centro del Mar Cinese Meridionale e rappresentano (ormai il condizionale è inutile data la loro operatività) per la Cina un bastione avanzato per il controllo dei traffici commerciali e soprattutto un punto di appoggio per la proiezione di forza militare in tutta l’area del Sud Est Asiatico e della zona che va dalle Filippine all’Australia. Questo genera molta preoccupazione sia a Manila che a Canberra visto che Pechino ha dimostrato più volte la propria aggressività e volontà di coercizione verso le flotte militari e da pesca delle altre nazioni rivierasche della zona. Gli Stati Uniti ora si trovano pertanto in una brutta situazione strategica causata dall’ignavia della passata amministrazione che aveva come linea guida il disimpegno da alcuni teatri di crisi, soprattutto in estremo oriente. Ora l’amministrazione Trump cerca di correre ai ripari sia rassicurando i propri alleati nell’area (sono previsti aumenti nelle forniture militari) sia cercando di ridimensionare le istanze cinesi anche con una dialettica più incisiva, come detto dal Segretario di Stato Tillerson.
Vedremo se, durante l’incontro tra Trump e Xi Jinping che si terrà in Florida la prossima settimana, i due leader riusciranno a trovare un accordo sulla questione, anche considerando che sul piatto della bilancia ci sarà la questione nordcoreana, da sempre moneta di scambio tra Pechino e Washington.

Paolo Mauri

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