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Mine antiuomo: dalla Birmania all’Afghanistan, le vittime sono civili

by Ada Oppedisano
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mine antiuomoRoma, 25 feb – Le mine antiuomo sono tra i più subdoli e perversi ordigni di produzione industriale esistenti al mondo, la cui logica, invisibile e micidiale, oggi colpisce più vittime civili che obiettivi strategico militari.

Con il termine “mina” si indicano quelle munizioni designate ad esplodere per mezzo della presenza, della prossimità o del contatto con una persona o un veicolo. Sono presenti in ogni tipo di territorio: strade, sentieri, campi, foreste, deserti, vicino ai confini, alle scuole, alle abitazioni e in ogni luogo in cui le persone portano avanti le loro attività quotidiane. Questi ordigni generano paura nelle comunità, i cui abitanti spesso sanno di attraversare aree minate, ma non hanno altra possibilità se non quella di coltivare proprio quel terreno o di prendere proprio quella strada per recarsi a scuola. Per questo motivo le mine non generano solo sofferenza, ma rappresentano anche una reale barriera allo sviluppo e alla ricostruzione degli stati a seguito dei conflitti.

Per cercare di limitare i danni causati da questi ordigni è stato redatto a Ottawa, il 3 dicembre 1997, il trattato di Messa al Bando delle Mine, adottato da 138 paesi, i cui scopi sono: impedire uso, produzione, esportazione e stoccaggio di mine; distruzione di tutte le mine esistenti nei rispettivi arsenali; bonifica delle aree minate nel proprio territorio; fornitura di assistenza finanziaria e tecnica per lo sminamento e di assistenza per le vittime. Ma la burocrazia internazionale dei trattati, delle risoluzioni e delle campagne di sensibilizzazione, in questo caso non fa certo fatica a svelare i suoi limiti: tra i paesi non firmatari si trovano grandi potenze come Stati Uniti, Russia, Cina, Israele e India.

Gli Stati Uniti detengono il più grande arsenale di questo genere dopo Cina e Russia, per un totale di 10 milioni di mine a disposizione. A tal proposito, durante l’amministrazione Bush, la dichiarazione dell’ufficio Affari politico-militari del Dipartimento di Stato (27 febbraio 2004) fu la seguente: “Gli Stati Uniti non prenderanno parte al Trattato di Ottawa in quanto i suoi termini ci richiederebbero di rinunciare ad una potenzialità militare necessaria […] Le mine detengono ancora un ruolo valido ed essenziale nella protezione delle forze statunitensi durante le operazioni militari […] Ad oggi non esiste alcun arma o ordigno in grado di fornire le potenzialità assicurateci dalle mine”.

I paesi più colpiti come numero di vittime da mine antiuomo sono sicuramente la Birmania e l’Afghanistan.

La Birmania non è stato membro della convenzione di Ottawa e si stima che la quasi totalità delle mine (di produzione cinese, indiana, italiana, sovietica e americana) su questo territorio siano state utilizzate dal Tatmadaw (forze governative birmane). Le aree con maggiore concentrazione di ordigni, infatti, sono quelle stanziate lungo i confini orientali del paese, teatro di decenni di guerre per l’autonomia delle minoranze etniche: sono circa 50 le aree minate tra gli stati Kachin, Karen, Karenni, Mon, Rakhine e Shan. Lo stato Karen e la divisione amministrativa di Bago hanno sul proprio suolo il più alto numero di mine e di vittime registrate dai dati ufficiali. Dal 1999 al 2013 le vittime civili ammontano a una cifra pari a 3450 unità e il Bangladesh ha ultimamente accusato il governo birmano di avere stanziato lungo il suo confine circa 70 mine. Non ci sono comunque notizie certe riguardo la produzione e lo stoccaggio di questi ordigni in Birmania, dal momento che il governo non ha optato per la trasparenza dei dati a questo riguardo, probabilmente per continuare a nascondere agli occhi del mondo quanto in realtà avviene ai danni della popolazione civile di queste minoranze; inoltre accade spesso che il regime birmano si serva degli introiti del narcotraffico per l’acquisto di mine e armi di vario genere, alimentando una vorticosa spirale nel solco delle economie sommerse. Il presidente Thein Sein si è giustificato così nel 2012, durante il summit dell’ASEAN (Associazione delle Nazioni del Sud Est Asiatico): “Io credo che per scopi di difesa, abbiamo la necessità di usare mine antiuomo per salvaguardare la vita e la proprietà delle persone e per motivi di autodifesa”.

Diversamente, l’Afghanistan è stato membro della Convenzione di Ottawa e le mine sono state utilizzate da diverse forze politiche durante gli ultimi trent’anni di guerre che hanno sconvolto il paese. L’Afghanistan non è mai stato produttore di mine, nonostante sia il paese con il numero più alto di vittime nel mondo. Si trovano sul territorio afghano ordigni contenenti anche 20-25 kg di esplosivo, più del doppio di quanto contenuto in una mina antiveicolo. Le località minate sono circa 2.981 e si concentrano nella zona intorno a Kabul e altre 6 province centrali per un totale di 240 kmq e 308.038 persone coinvolte. Dall’inizio della guerra contro l’URSS al 2013 le vittime sono state 22.546 (di cui 4389 morti e 18157 feriti). La convivenza della popolazione afgana con questi ordigni ha inizio nel 1979, con le prime mine a forma di giocattolo lanciate dagli aerei sovietici, si è protratta con gli ordigni statunitensi (circa 1.228) del 2001 e 2002 e continua oggi a causa delle attività di guerriglia dei Talebani, dei membri del Network Haqqani e di Hezb-e-Islami. E’ stato girato un cortometraggio dal titolo “No Game”, grazie ai finanziamenti dell’Ufficio Emergenza della Direzione Generale Cooperazione allo Sviluppo del ministero degli Affari Esteri italiano, in cui si cerca di mettere in evidenza, in soli 12 minuti, la pericolosità delle mine per la popolazione infantile afghana.

Le mine antiuomo sono l’unico ordigno le cui vittime sono per il 79% civili (21% forze di sicurezza) e il 46% del totale è rappresentato da minori di 18 anni.

Intanto la comunità internazionale resta immobile di fronte a certi paesi che si rifiutano di eliminare dai loro arsenali queste armi così subdole e militarmente poco strategiche, con pretesti di logiche di difesa ben poco congruenti con la realtà; si limita a incorniciare trattati e convenzioni che non permettono di andare alla radice dei problemi, finché non saranno firmate da quegli stessi paesi che sono stati i maggiori produttori della storia di questo tipo di ordigni; si accontenta delle raccolte fondi, per lavare le coscienze e dar loro una bella patina di lustrini e buonismo inconcludente.

Ada Oppedisano

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