Roma, 19 ott – E’ notizia di questi giorni che nazioni come Germania, Francia, Regno Unito, Paesi Bassi, Finlandia ed ultima la Spagna si sono uniti all’embargo sulla vendita di armi alla Turchia. Il nostro ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, ha annunciato che anche l’Italia avvierà una istruttoria sulle forniture in atto. Questa iniziativa, oltre che totalmente inutile e tardiva, è anche estremamente pericolosa e rischia di fare non pochi danni. Vediamo perché.
La Turchia è già autonoma sulla difesa
Innanzi tutto, la misura è tardiva perché i turchi sono penetrati da anni in territorio siriano proteggendo le milizie qaediste a Idlib. Solo l’anno scorso, nella totale incuranza dell’Europa, hanno invaso l’area curda di Afrin scacciando la popolazione locale. Dov’era allora lo sdegno della sinistra, di Saviano, di Zerocalcare e sodali? Ah già, erano impegnati a difendere i “Ribelli moderati”, che per anni hanno massacrato gli curdi da loro oggi idolatrati. Se non è un cortocircuito questo.
Madrid, in una nota, ha spiegato che “in coordinamento con i suoi partner dell’Unione europea, la Spagna negherà nuove licenze di esportazione militare che possono essere utilizzate nell’operazione in Siria”. Tuttavia, esattamente come per gli altri membri UE, l’embargo è limitato a quelle categorie di armi che possono essere utilizzate nell’offensiva contro i curdi nel nord-est della Siria e non influirà sui contratti già in vigore. Vista anche la potenziale durata del conflitto, soprattutto a seguito dell’intervento congiunto di Putin ed Assad, questo non avrà alcun impatto sul conflitto in essere.
Forse i suddetti paladini degli oppressi ignorano che Ankara è abbastanza autonoma nella produzione militare e le aziende turche realizzano svariati prodotti (veicoli blindati, carri armati, fucili, velivoli teleguidati e artiglierie) con un discreto successo anche nell’export. Per parlare di prodotti italiani, il blocco non impedirà al pattugliatore Meltem3 (ATR 72) o all’elicottero d’assalto T-129 Atak, derivato dal famoso AW129 Mangusta e prodotto da TAI, di alzarsi in volo domani. Ergo: la misura è inutile.
I danni all’export italiano
Ora, in questo contesto, logorato dalle pessime politiche statunitensi nel medio-oriente e con le ambiguità della UE (ma si legge Francia) che ha fortemente contribuito al neo-ottomanesimo di Erdogan, veniamo al nodo di gordio della questione: l’export militare italiano.
Quello che i pacifisti “tout court” ignorano è che le commesse militari e le relazioni strategiche ed industriali hanno due effetti principali: il primo, ed il più intuitivo, è il ritorno industriale ed occupazionale di queste commesse, mentre il secondo, spesso ignorato, è il controllo strategico sulla politica di difesa del Paese.
Quando si parla di industria della difesa, l’attore principale è Leonardo, il cui azionista di controllo è il ministero dell’Economia, ovvero il governo. Leonardo ha ricordato che “collabora da molti anni con la Turchia in linea con la posizione dell’Italia all’interno della Nato” ma che“si adeguerà alle nuove direttive nazionali” in caso di evoluzioni del quadro normativo di riferimento.
Anche in questo caso siamo ad un vero e proprio cortocircuito: lo stop all’export verso Ankara avrebbe in pesante impatto negativo sull’industria nazionale, di cui l’esecutivo è il principale azionista. Questo si che è “darsi la zappa sui piedi”.
Ma veniamo al secondo aspetto. Come abbiamo detto, le commesse militari creano forti relazioni con altri Paesi, relazioni di tipo strategico, che consentono di controllarne in qualche modo la politica di difesa e sicurezza. Creare una vera e propria “dipendenza” in termini di supporto, manutenzione, addestramento, assicura all’esportatore un vantaggio competitivo in caso di conflitto poiché perfettamente a conoscenza dei sistemi d’arma del Paese importatore. Per farla breve, senza il mio supporto tu non puoi usare le mie armi contro di me.
Rinunciare a certe leve, parlando di embarghi seri a differenza di quello in atto, significherebbe rinunciare ad avere capacità di incidere sul piano internazionale. Quindi, quando qualcuno esclama di vendere solo “ai buoni”, oltre a suggerirgli un ritorno alla realtà, chiedetegli se vuole perdere questo vantaggio sui “cattivi”.
La politica internazionale è campo per gli strateghi, non per attentatori suicidi, soprattutto quando si parla di un paese estremamente delicato come la Turchia. Viste le recenti politiche ci si potrebbe chiedere che senso abbia la sua presenza nella Nato, ma estrometterla significherebbe spingerla completamente nell’area di influenza russa che si assicurerebbe, fra l’altro, il controllo degli accessi al Mar Nero. Se l’ipotesi vi sembra remota, ricordiamo che aver scacciato la Turchia dall’F-35 ha spinto Ankara a rivolgersi a Mosca da cui acquista già i missili a lungo raggio S-400.
Lo scenario è ben più complesso di quanto ci viene proposto dai buonisti nostrani, spinti più da reazioni emotive alla “volemose bene” che da serie analisi politiche. L’Italia dovrebbe porsi una sola domanda: “Quali sono i nostri interessi e come perseguirli”?
Aldo Campiglio
1 commento
Ok, dunque, se si vendono armi anche ai cattivi, su quali basi potremmo mai condannarli, se quelle stesse armi venissero poi utilizzate per annientare popoli inermi? su quali basi condannare l’intervento militare dei Turchi o l’Arabia Saudita? Non si possono chiudere entrambi gli occhi su ciò che avviene in Palestina da 70 anni e nello stesso Yemen (la Spagna, tra l’altro, produrrà 5 navi da guerra all’Arabia saudita) e poi fingere di stracciarsi le vesti per le azioni turche. Inoltre è semplicemente ridicolo che si sia noi occidentali a stabilire ciò che è giusto o sbagliato. Potremmo fare un elenco lunghissimo di devastazioni perpetrate dai cosiddetti esportatori di democrazia – e la Siria ne farebbe parte. Gli interessi italiani li abbiamo constatati nella guerra in Libia: trotterellare dietro le imprese guerresche di USA, Francia e GB e servire gli interessi di queste potenze – tra i risultati ottenuti ovviamente il drammatico incremento dei flussi migratori. Quanto alla Russia, fortunatamente è presente una potenza in grado di rivaleggiare alla pari con gli USA, altrimenti, alla sequela di paesi falliti avremmo dovuto aggiungere anche la Siria e magari il Venezuela. Ma questi sono discorsi emotivi… Ricordiamo le sconcertanti parole del segretario di Stato Madeleine Albright, durante l’amministrazione Clinton: Intervistatrice: “Abbiamo saputo che sono morti mezzo milione di bambini (iracheni), più di quanti ne uccise la bomba di Hiroshima. Valeva la pena far pagare un simile prezzo”?
Albright: “Credo che sia stata una scelta molto difficile, ma quanto al prezzo, pensiamo che ne valesse la pena.” Insomma, Madeleine Albright senza particolari titubanze affermò che gli obiettivi politici (?!) degli Stati Uniti valevano il sacrificio di mezzo milione di bambini iracheni. Potere del pensiero astratto! E’ possibile annichilire in un istante uomini e cose, ma stando a migliaia di Km di distanza. Sai che vantaggio non assistere alle conseguenze dirette; un semplice Click e il gioco è fatto! Dopodiché, seduti tranquillamente in uno studio televisivo, cianciare della morte di mezzo milione di bambini come se nulla fosse. Strategia, bellezza! Abbiamo visto…