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“Non faremo la fine dell’Europa”: in Corea del Sud scoppia la protesta anti-profughi

by Alice Battaglia
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Seul, 8 lug – Sono più di mezzo milione i cittadini della Corea del Sud che hanno firmato una petizione contro la politica pro-rifugiati messa in atto dal governo del Paese, e che ora portano la protesta per le strade al grido “non vogliamo diventare come l’Europa”.
Il casus belli è stato l’afflusso di circa 1000 profughi in maggioranza yemeniti, i quali – dopo aver ottenuto i visti di ingresso grazie a una scappatoia burocratica che serviva in teoria a promuovere il turismo – hanno presentato richiesta di asilo nell’isola di Jeju, perla sul mare e popolare meta di vacanze in Corea. Nonostante esistano probabilmente dei reali motivi umanitari a sostegno della maggior parte di queste domande (lo Yemen è sull’orlo del collasso dopo tre anni di un conflitto che non accenna a placarsi), molti cittadini hanno espresso preoccupazione per l’apertura a quelli che percepiscono come estranei pericolosi per la società sud-coreana, soprattutto sotto il profilo religioso.
DW News ha raccolto numerose dichiarazioni durante una delle manifestazioni, inscenate per indurre il governo a “mettere i cittadini coreani prima dei rifugiati”. Il signor Hank Kim, proprietario di un’importante agenzia di viaggi sull’isola, spiega all’emittente tedesca in lingua inglese ciò che pensano in molti: «La gente del posto è allarmata, abbiamo tutti letto dei problemi che gli immigrati hanno causato in Europa – in Germania e in Francia in particolare – e non vogliamo che accada anche qui». L’intervistato ha poi aggiunto: «Siamo preoccupati soprattutto a causa della loro religione. Non abbiamo mai avuto contatti con i musulmani, ma sappiamo che hanno tutti famiglie numerose che restano legate alla loro cultura di origine invece di cercare di adattarsi al luogo in cui vivono».
I pensieri che si rincorrono sul web non fanno altro che confermare il sentimento comune, accusando anche la politica e i giornali. Su un blog dove si esaltavano le manifestazioni di piazza, si legge: «I politici sono riluttanti a rispondere ai dubbi della maggioranza delle persone e anche i media sostengono i rifugiati, è ora di uscire per le strade e far sentire le nostre voci».
In seguito alle manifestazioni della scorsa settimana, il governatore di Jeju, Won Hee-ryong, ha dichiarato ai giornalisti del quotidiano The Korea Times (il più antico del Paese) che non permetterà all’isola di «sopportare da sola il peso di questa situazione», e ha promesso di portare al più presto la questione a un nuovo tavolo di discussione con il governo nazionale: «Incontrerò direttamente il presidente Moon Jae-in per gestire al meglio il problema dei richiedenti asilo yemeniti e garantire un processo di revisione rapido e rigoroso per accettare o negare loro lo status».
La Corea del Sud ha accolto 31.500 cittadini nordcoreani che hanno disertato dalla fine della guerra di Corea nel 1953, ma ha iniziato ad accettare rifugiati solo nel 1994. Ad oggi, quasi 40.500 persone hanno chiesto di essere riconosciuti come rifugiati e poco più di 35.000 rimangono nel Paese.
profughi corea del sud 2Il Paese è globalmente conosciuto – insieme al Giappone – come uno dei più rigidi in materia di concessione dello status di profugo. L’anno scorso solo 121 richieste – ovvero l’1,2% delle 9.942 pervenute – sono state approvate, ma di fronte al crescente sentimento di ostilità verso gli immigrati, che la popolazione vede come un danno all’economia del Paese, il ministero della Giustizia valuta di irrigidire ulteriormente le proprie posizioni.
Non tutto il mondo è paese, insomma. C’è chi impone la politica delle frontiere aperte perché “ce lo chiede l’Europa” e chi, al contrario, lotta con ogni mezzo “per non fare la fine dell’Europa”.
Alice Battaglia

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2 comments

angelo 9 Luglio 2018 - 11:33

Solo da noi pagliacci con le magliette rosse ahahahah

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paleolibertario 10 Luglio 2018 - 1:47

Gente con la schiena dritta, i coreani, hanno rispetto del prossimo (che è appunto chi è in prossimità, chi è più vicino). Da noi invece si fa il gioco a chi è più “buono”, fregando gli altri italiani, soprattutto le generazioni future. Da noi si è smarrito il senso di “popolo”, ognuno pensa a sé.

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