Damasco, 4 sett – Circa un anno fa gli Usa erano i principali avversari della Siria di Bashar Al Assad. Poi qualcosa ha cambiato le carte in tavola. Facciamo un passo indietro. Nell’agosto del 2013 leggevamo su L’Huffigton Post che la dotazione di Assad era compresa fra le mille e le cinquemila tonnellate di armi chimiche. L’esercito siriano disponeva di circa 100.000 missili di diversa portata. Un arsenale da far tremare le vene e i polsi. Quattromila Scud-D, vettori in grado di portare testate chimiche e grandi quantità di esplosivo, missili a lungo raggio che possono colpire con una certa precisione qualsiasi punto di Israele (e anche oltre). Inoltre Assad poteva contare su 5.000 SS-22, missili balistici a medio raggio in grado di trasportare testate con 120 Kg di esplosivo o altro materiale. L’arsenale chimico della Siria ammontava a circa 1.000 tonnellate di agenti chimici di varia composizione. Tra questi c’erano agenti nervini come il Sarin e, sembra, il temibile VX.
Poi la Siria decise di cedere le sue armi non convenzionali all’Occidente. Era gennaio del 2014. Intanto, però, l’Occidente aveva armato migliaia di islamisti per combattere il laico Assad. Come si è già detto su questo sito nell’articolo di Eugenio Palazzini: “Gli Usa hanno bombardato l’ISIS perché si è esteso più di quanto concordato con essi”. In pratica gli States hanno prima foraggiato i seguaci della Guerra Santa, salvo poi rendersi conto che non potevano più controllarli. Le democrazie atlantiche si svegliano scioccate dai tagliagole, salvo poi dimenticarsi che quelle bande vivono grazie ai loro lauti sussidi.
Nuove prospettive geopolitiche danno vita a impensabili giri di valzer. I generali a stelle e strisce pensano che l’unico modo per eliminare il pericolo Isis è colpire le roccaforti degli islamici che si trovano sul territorio siriano. Non basta bombardare le postazioni in Iraq. Però, per compiere questi attacchi ci vorrebbe l’aiuto del regime di Damasco. In pratica, Obama dovrebbe accettare il fatto che Assad da nemico diventi alleato degli Usa. Il ministro degli Esteri di Damasco Walid al Muallim da il via libera con queste parole: “La Siria sarebbe d’accordo con azioni militari, anche della Gran Bretagna e degli Usa sul proprio territorio contro l’Isis, ma solo con un pieno coordinamento con il governo siriano”. Il nemico è pronto a diventare amico. Obama, però fa lo gnorri. Afferma in maniera perentoria: “Mai con Assad”. Qualcuno parla di flop di Obama. E se invece fosse una nuova strategia? In sintesi, dietro degli errori apparenti si cela un piano più articolato. Due possono essere le risposte al precedente interrogativo.
La prima è riassunta da un’intervista di Andrea Marcigliano a Michael Ledeen, guru dei neo-con e gran consigliere di Regan, Bush Senior and Junior. Ledeen afferma: “Obama, e quelli come lui, vogliono un’America più debole, più chiusa in se stessa, retroflessa solo sui suoi problemi economici e sociali interni. E, di conseguenza, vogliono abbandonare il mondo al suo destino. Rinunciare ad incidere sulla storia e sugli equilibri globali. Per questo l’attuale Presidente ha favorito in tutti i modi i nemici degli Stati Uniti, dai jihadisti in Siria e Iraq agli ayatollah iraniani. Senza dimenticare quanto avvenuto nei paesi del Maghreb con le cosiddette Primavere Arabe. Ma, come dicevo, non si tratta di errori, bensì di scelte politiche ben precise. Che Obama aveva già delineato nel suo famoso discorso all’Università cairota di Al Azhar appena eletto, e cominciato a portare avanti con il ritiro frettoloso dall’Iraq prima, con quello ormai imminente dall’Afghanistan oggi”. Un Obama terzomondista, dunque? Basta, però, poco a confutare questa tesi. Nel giro di dodici mesi abbiamo visto gli Usa che si alleano con l’Iran per combattere il fondamentalismo sunnita. Poi, l’asse diretto tra Mosca e Tel Aviv. E tante altre strane alleanze che nessuno si aspettava.
La seconda è frutto di un’analisi più approfondita fatta qualche giorno fa da Gabriele Adinolfi che scardina i preconcetti a cui eravamo abituati. Vediamo come. Adinolfi afferma: “Di fatto agli americani sta bene qualsiasi cosa molto tesa ovunque accada, a patto di contenere la crescita cinese, di non perdere il controllo sui paesi detti eurasiatici (in particolare puntano sull’Azerbaijan) e di non avere a che fare con partners che si potenzino, ragion per cui sono sostanzialmente impegnati, sul fronte politico, a contenere Pechino, a frenare le ambizioni di Berlino e a colpire sui fianchi Ankara che si è rivelata restia a giocare le parti che le si volevano assegnare, sia con la Ue che con il Vicino Oriente”.
E l’Europa? Da sabato scorso può contare su Federica Mogherini, Alto rappresentante Ue per la politica estera e la sicurezza. Ci voleva proprio una donna del calibro della Mogherini! La ministra degli Esteri, classe 1973, consegue la sua tesi di laurea, proprio, sul rapporto tra religione e politica nell’Islam. Cosa aggiungere a tutto ciò? Semplice. Grazie alla generazione Erasmus torniamo ad essere protagonisti nello scenario mondiale. O forse no?
Salvatore Recupero