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“Refugees welcome”: il paladino dell’accoglienza Trudeau chiede più controlli alle frontiere

by Alice Battaglia
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Ottawa, 5 mag – La parabola di Justin Trudeau, figlio d’arte della politica e beniamino del mondo liberal, comincia con la sua elezione a primo ministro del Canada alla fine del 2015 e si dipana lungo la globale crisi migratoria a suon di dichiarazioni politicamente corrette al limite della farneticazione, cavalcando l’onda lunga dell’accoglienza senza se e senza ma, fino ad arrivare nel 2016 a promettere l’ingresso a un milione di rifugiati nel Paese nordamericano durante il successivo triennio. Eppure la sua integerrima strada verso il primato dei Diritti Umani sembra ora in declino, al punto che è lo stesso Trudeau a rivolgersi ai propri vicini di casa, gli Stati Uniti del nemico razzista Donald Trump, chiedendo di rafforzare i controlli alle frontiere al fine di fermare l’immigrazione clandestina: in parole povere, di proteggere… il Canada.
Cos’è successo nel frattempo? È successo che, viste le crescenti difficoltà incontrate dai clandestini per restare negli Usa (il conferimento dello status di rifugiato ha subito un calo del 26% nell’ultimo anno), molti di questi scelgono di entrare con visti turistici per poi dirigersi in massa, allo scadere di tali permessi, verso i confini canadesi, mettendo a dura prova le risorse del governo di Ottawa. Il fenomeno è iniziato l’estate scorsa con l’ingresso “pedonale” di diversi rifugiati haitiani, che negli Usa rischiavano di perdere il proprio status. È ripreso ora che la primavera sta sciogliendo i ghiacci dell’inverno canadese, ma adesso si verifica in maniera drammaticamente più massiccia e in particolare da parte di immigrati nigeriani, che, dopo il soggiorno “legale” a sud, si riversano in Canada a piedi attraversando un passaggio a nord di Plattsburgh, nello Stato di New York, per inoltrare le proprie richieste di asilo non appena passata la linea di demarcazione tra i due Stati.
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Le onnipresenti Ong “no borders” facilitano l’impresa mostrando ai clandestini il percorso da attraversare. Mathieu Genest, portavoce del ministro per l’immigrazione del Canada, ha riferito con stupore al governo statunitense come queste persone stiano entrando illegalmente in Canada: «Non stanno usando il visto per il motivo per cui era destinato». Ecco perché Ottawa, senza chiedere esplicitamente ai funzionari degli Stati Uniti di rifiutare l’ingresso ai nigeriani, sta quantomeno insistendo per controlli più rigorosi volti a garantire che coloro a cui sono concessi visti temporanei negli Stati Uniti intendano davvero tornare a casa propria. Ma cosa ne pensano le Ong? Eleanor Acer, direttrice dell’organizzazione umanitaria “Human Rights First’s Refugee Protection Program”, con sede a Washington, ha pubblicamente proclamato la propria indignazione e accusato il Canada: «È scioccante e deludente che stiano cercando di incoraggiare un altro Paese a negare i visti a persone che, in alcuni casi, stanno legittimamente cercando protezione dalla persecuzione».
E così il mito di Justin Trudeau ha cominciato a incrinarsi anche presso i suoi sostenitori più accaniti, visto che con quelli più moderati aveva già iniziato a perdere lustro da tempo: il suo grado di popolarità è in costante diminuzione nell’ultimo anno tra i cittadini canadesi. Ciò nonostante, il primo ministro e il suo governo sembrano avere altre preoccupazioni, prima tra tutte la diffusione delle cosiddette ideologie di estrema destra in Canada: per la prima volta nella storia del Paese, ben 23 milioni di dollari pubblici sono stati stanziati per contrastare il razzismo, finanziando programmi multiculturali e consultazioni transnazionali sul razzismo. Sembra una problematica molto più importante di quella degli immigrati che attraversano il confine a piedi… o forse, per Trudeau è molto più comodo far gestire la patata bollente ai fratelli maggiori negli Usa, senza sporcarsi troppo le mani?
Alice Battaglia

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