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Argentina, così il liberismo sta uccidendo (per la seconda volta) una nazione

by Filippo Burla
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Buenos Aires, 5 mag – Non basta essere stato a capo del Boca Juniors, una delle squadre di calcio più popolari in Argentina, per essere anche un buon presidente. Se ne sta accorgendo Mauricio Macri, un passato da dirigente sportivo e, dal dicembre 2015, inquilino della Casa Rosada.
Salutato dal mondo come l’uomo che ha posto fine alla mini-dinastia di ispirazione peronista dei Kirchner, che ha retto l’Argentina dal 2003 prima con Nestor e poi con la moglie Cristina Fernandez, Macri si è presentato alle elezioni – poi vinte – con la promessa di un vasto programma di riforme che hanno subito incontrato il pieno e deciso favore della comunità economica internazionale. Lotta agli sprecchi e alla burocrazia, liberalizzazioni, forti tagli al bilancio pubblico e alla spesa sociale. Una serie di proposte via via implementate nei mesi successivi e che avrebbero dovuto portare il Paese definitivamente al di fuori dei residui della devastante crisi di inizio millennio.
argentina inflazioneNon è stato sufficiente, al nuovo presidente che si vantava di aver sconfitto il populismo proprio laddove è nato, mettere le mani – con la scusa che fosse un mero centro di propaganda – sull’istituto di statistica, né intervenire sul tema del debito pregresso e sulle relative cause per permettere all’Argentina di riaffacciarsi sui mercati finanziari. A poco è servita la (pur saggia) decisione di sganciare il peso dal dollaro, facendolo tornare a fluttuare liberamente e provocandone una svalutazione del 30% che tanto beneficio ha portato ad un’economia che, almeno sulle materie prime, esporta in tutto il mondo.
Dall’altra parte il Pil cresce, è vero. Nel 2017 ha fatto segnare un rotondo +3%, ma allo stesso tempo galoppa anche l’inflazione. Gli ultimi dati la stimano attorno al 25%, colpa anche di un allentamento – si dice “spinto” dal governo – da parte della banca centrale che a gennaio ha ridotto i tassi nonostante la crescita dei prezzi fosse tutto tranne che in frenata. E così l’istituto ha dovuto, in questi giorni, ricorrere ad una stretta improvvisa: i tassi sono schizzati al 40% dal 33,25% precedente (era al 27,25%). Per confronto, i tassi della Bce oscillano da tempo attorno allo 0% e quelli della Fed al di sotto del 2.
Complice una nuova tassa sulle rendite finanziarie appena varata, i mercati sono così andati in subbuglio. E gli investitori, che tanto avevano appoggiato il nuovo corso in salsa liberista dell’Argentina, cominciano a far sentire la propria voce. E la richiesta è sempre la stessa: le famose “riforme”, vale a dire strette sui conti pubblici, tasse e tagli allo stato sociale. La strada maestra per placare la sete degli investitori ad un prezzo che però, dalla stessa Argentina alla Grecia, già conosciamo.
Filippo Burla

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Tony 6 Maggio 2018 - 3:08

……gli investitori non vogliono tasse da dover pagare, ma tasse e tagli sociali per il popolo argentino…..

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