Roma, 6 giu – Quando uscirono le foto del piccolo Omran Daqneesh, il bimbo siriano scampato al carnaio di Aleppo, ma ritratto con lo sguardo fisso nel vuoto mentre era coperto di sangue e polvere, lo scrivemmo con chiarezza: si trattava di una indegna strumentalizzazione, per fare propaganda anti-Assad sulla pelle di un povero innocente. Oggi fa piacere sapere che non solo Omram sta bene, ma vive tranquillamente nella sua Aleppo, oggi liberata dai tagliagole e restituita alla libera nazione siriana e al suo Stato sovrano.
Fa anche piacere leggere che la nostra analisi – il bambino usato per la propaganda di guerra – è condivisa pienamente da suo padre. Il genitore ha parlato alla tv libanese Al Mayadeen. La famiglia Daqneesh non ha infatti seguito i ribelli ad Homs, ma ha preferito rimanere ad Aleppo. E ora il padre, Abu Ali, accusa i ribelli di aver voluto “usare il sangue di Omran e pubblicare le sue foto. Gli ho tagliato i capelli – continua il padre – e gli ho cambiato nome, in modo tale da non farli continuare con questa storia, ma loro hanno continuato, postando altre foto. Grazie a Dio siamo qui e non abbiamo problemi”. Secondo quanto raccontato da Abu Ali, i ribelli gli avrebbero offerto grandi somme di denaro, sia come aiuti che come donazioni.
Il padre del piccolo Omran fa anche il nome di Mousa al-Omar e Abu Al-Sheikh. E a questo punto i “ribelli moderati”, gli “idealisti umanitari” che così tanto avevano a cuore la sorte di Omran, come hanno risposto? Accusando la famiglia Daqneesh di essere al soldo di Assad. Lo ha detto Mahmoud Rslan, il fotoreporter vicino al movimento Harakat Nour al-Din al-Zenki che ha scattato la foto. Alla faccia della preoccupazione umanitaria.
Giorgio Nigra