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Perché il “piccolo Buddha” riconosciuto dal Dalai Lama agita la Cina (e non solo)

by Eugenio Palazzini
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Roma, 30 mar – Un “piccolo Buddha” americano proprio come nel film diretto da Bernardo Bertolucci con protagonista Keanu Reeves? A leggere i titoli di molti giornali sembrerebbe proprio di sì, il paragone è d’altronde molto evocativo. Ma no, stracciamo subito l’equivoco, il Dalai Lama non ha individuato la sua reincarnazione. La questione è comunque interessante e al contempo piuttosto spinosa. Tenzin Gyatso, guida spirituale del buddismo tibetano e in tale contesto considerato la manifestazione terrena del bodhisattva cosmico Avalokiteśvara, ha riconosciuto per l’esattezza la reincarnazione dell’ultimo grande maestro tibetano della Mongolia, Khalkha Jetsun Dhampa Rinpoche. E lo ha fatto “scovandola” negli Stati Uniti, indicando un bambino di otto anni originario proprio del Paese della steppa, figlio di un ricco uomo d’affari mongolo. E’ accaduto durante una tre giorni di insegnamenti rivolti proprio alla comunità dei tibetani di origine mongola a Dharamsala, località dell’India dove il Dalai Lama vive da decenni da rifugiato in seguito alla fuga dal Tibet dopo l’invasione maoista.

Il “piccolo Buddha” indicato dal Dalai Lama agita la Cina (e pure la Mongolia)

L’identità esatta del bambino non è stata rivelata, tuttavia il riconoscimento non ha nulla a che fare con la possibile successione del Dalai Lama, arrivato ormai alla soglia degli 88 anni e che più volte ha precisato di non aver ancora deciso se indicherà o meno un suo successore. Si tratta oltretutto di una scelta molto difficile e nella comunità internazionale del buddismo tibetano sono già stati indicati circa mille lama (maestri) come reincarnazioni di altrettanti leader spirituali. In ogni caso, stando a quanto rivelato dal quotidiano Hindustan Times, il bambino era già stato “consacrato” nel monastero tibetano di Gandan a Ulan Bator, capitale della Mongolia, prima di essere presentato al Dalai Lama.

Quanto accaduto alcuni giorni fa, con il riconoscimento proprio di quel bambino nato negli Stati Uniti, ha però un peso diverso rispetto ai precedenti, ovvero un significato politico – più che strettamente spirituale – piuttosto rilevante, che potrebbe generare diversi scossoni. A non apprezzare affatto la scelta del Dalai Lama è innanzitutto Pechino, perché quel bimbo di otto anni potrebbe rivitalizzare il buddismo tibetano in Mongolia, nazione sospesa tra Russia e Cina, nonché fortemente dipendente da quest’ultima in termini sia economici che politici.

Per Pechino dunque la “mossa” de Dalai Lama è una provocazione vera e propria, anche in considerazione del fatto che il bimbo è di nazionalità statunitense. Ma non è tutto, perché anche la Mongolia potrebbe temere qualche “scossone”. Il bambino, stando a quanto emerso, sarebbe infatti uno dei figli della famiglia Altannar, una delle più importanti dinastie politiche e commerciali mongole.

Eugenio Palazzini

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